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26 luglio 2024, Aggiornato alle 19,41
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Politiche marittime

Bloccati a bordo per diciotto mesi. Le testimonianze dei marittimi nella Giornata dei diritti umani

L'IMO ha raccolto le testimonianze di un ingegnere, un secondo ufficiale e un capitano. Il disagio psicologico, la fatica e l'impasse di non vedere la fine di quello che è a tutti gli effetti una condizione di prigionia

(IMOHQ/youtube)

Immagina di restare bloccato a bordo di una nave per sei, otto, dieci, dodici, quattordici, sedici, diciotto mesi senza sapere quando potrai tornare a casa. Questa è la realtà di oggi per circa 400 mila marittimi imbarcati sui mercantili in giro per il mondo. Inizia così il videomessaggio realizzato dall'International Maritime Organization (IMO) in occasione della giornata mondiale dell'ONU per i diritti umani, che accade oggi. Un'iniziativa volta a sensibilizzare l'opinione pubblica sulle condizioni di lavoro così incerte e precarie che i lavoratori del mare di tutto il mondo vivono da marzo, da quando l'influenza da Covid-19 ha iniziato a diffondersi. All'inizio del mese le Nazioni Unite hanno esortato i governi a classificare i marittimi come lavoratori chiave, così da agevolare soprattutto i corridoi di viaggio per i cambi di equipaggio.

Il legislatore marittimo delle Nazioni Unite ha intervistato una serie di marittimi – un ingegnere, un secondo ufficiale e un capitano - per testimoniare le difficili, in alcuni casi tremende, condizioni che stanno vivendo.

Il segretario generale dell'IMO Kitack Lim ha invitato nuovamente tutti gli addetti ai lavori della logistica e delle catene di approvvigionamento a difendere i diritti umani dei marittimi. «Purtroppo, abbiamo visto i diritti umani di marittimi, pescatori e altri lavoratori del mare messi a repentaglio durante la pandemia», ha detto Lim. «Questa è una chiara questione di diritti umani, che sta causando un'immensa fatica fino all'esaurimento. Una situazione insostenibile. Gli addetti del settore marittimo sono stati in prima linea durante la pandemia fornendo cibo, medicinali e beni essenziali in tutto il mondo. Tuttavia, non possono rimanere in mare a tempo indeterminato». È non è solo una questione umanitaria, sottolinea il segretario generale: la mancata protezione dei marittimi metterà a repentaglio la sicurezza della navigazione e avrà un effetto dannoso sulla catena di approvvigionamento globale

Per l'Italia l'ultima iniziativa di sensibilizzazione è di qualche giorno fa, dei sindaci di Livorno e Napoli i quali hanno lanciato un appello per far rientrare i marittimi connazionali bloccati in Cina, in questo caso per ragioni legate non soltanto alla Covid-19.

Le testimonianze
«Se lo shipping si fermasse, tutto il mondo si fermerebbe. Per questo siamo così importanti: riforniamo il mondo», spiega  Matt Forster, capo ingegnere britannico imbarcato su un mercantile per sei mesi, circa il doppio di quanto avrebbe dovuto lavorare. «Non significa che siamo degli eroi – continua – né vogliamo degli elogi, vorremmo solo lavorare e tornare a casa. Ciascuno di noi è abbastanza scioccato. Vedi chiudersi tutti i porti intorno a te. Durante i lockdown gli aeroporti sono stati praticamente chiusi e così non si è potuto che constatare la chiusura di tutte le finestre di opportunità per tornare a casa». Per Forster l'effetto psicologico maggiore è stato quello «di non poter vedere la fine di tutto questo. Nessuno è preparato per una cosa del genere. Vogliamo fare il nostro dovere e tornare a casa, non abbiamo firmato per sentirci in prigione a scontare una pena ingiusta».

«Più tempo vivi a bordo, più pressione psicologica subisci», racconta Hedi Marzougui, capitano. «Settimane e mesi iniziano ad accumularsi, inizia a sentirti sempre più stanco e poco sveglio, non ti senti in forma, in salute. Inizi a non pensare più al lavoro ma a tutti questi altri problemi».

Sia Forster che Marzougui sono tornati da poche settimane a casa.

All'inverso, Pankaj Gautam, secondo ufficiale, è stato costretto a rimanere a casa più tempo del previsto durante il lockdown, cosa che lo ha portato ad avere «grosse difficoltà finanziarie» nel mantenere la famiglia.

«Sappiamo che il nostro è un lavoro particolare – conclude  Marzougui – ma allo stesso tempo abbiamo dei diritti, una famiglia, una vita che ci aspetta».