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04 novembre 2024, Aggiornato alle 12,05
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Politiche marittime

Le authority assediano le Autorità portuali

C'è l'AGCM, l'ANAC, l'ART, il MIT. E poi le Regioni, le direttive europee. In mezzo le concessioni portuali, l'atto pubblico amministrativo borderline , tra pubblico e privato


di Paolo Bosso

Quante authority ruotano intorno alle quindici autorità di sistema portuale (Adsp) italiane? Cinque: l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), l'Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART), l'Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), il ministero dei Trasporti (MIT) e le Capitaneria di porto. Ci si dimentica sempre di qualcuno, e il punto è proprio questo. «In effetti c'è un po' di confusione», osserva Stefano Zunarelli, ordinario di diritto della Navigazione all'Università di Bologna nel corso del convegno "Quale regolazione per i porti italiani", tenutosi nella sede del Cnel di Villa Lubin a Roma il 6 giugno e organizzato da Sipotra – Società italiana di politica dei trasporti. 
 
Un carrozzone pubblico che scricchiola ogni volta che c'è da decidere sulle concessioni autorizzate, ritirate e prolungate, andando a sovraffollare le scrivanie delle Adsp con osservazioni, raccomandazioni, decreti, multe e proscrizioni. In questo 'orgasmo entico' sono un faro «gli articoli 36 e 37 del Codice della navigazione, che restano ancora il testo di riferimento, la fonte primaria», secondo Zunarelli.
 
La concessione portuale è un campo in cui pubblico e privato si incontrano, non si salutano e devono collaborare, direttamente. È una semplice concessione dello Stato a un'impresa o consorzio a utilizzare le sue banchine per fare attività commerciale. Il principio è lo stesso del demanio marittimo delle spiagge ma la destinazione d'uso è di tutt'altra natura. Da un lato si deve garantire la massima trasparenza e permettere a chiunque di poter usufruire di questo spazio – facendo una gara -, dall'altro è logico che non tutte le imprese possono ottenerla ma solo quella che garantisce gli interessi del porto: un determinato traffico (di una specifica merce e di un determinato volume) utilizzando determinate infrastrutture quasi sempre a carico di chi ha la concessione. «Non sorprende quindi se la Corte di Giustizia europea nel 2016 ha definito le concessioni come delle autorizzazioni», precisa Fabio Cintioli, ordinario di diritto amministrativo. Il diritto europeo, con la direttiva 23/2014, sembra andare verso la non applicazione delle procedure pubbliche: seguendo la Corte Ue, le concessioni si autorizzano più che si assegnano, a sottolineare la rilevanza di chi andrà a gestire in fitto uno spazio demaniale marittimo. «Con la legge 84/94 sono stati privatizzati i servizi portuali ma non il demanio», precisa Francesco Mariani, segretario generale di Assoporti. L'Adsp è obbligata al pareggio di bilancio attraverso la riscossione dei diritti portuali e dei canoni di concessione. «In questo contesto – continua Mariani - è il mercato a decidere vita e morte di un porto. Dall'altro lato, però, la banchina come luogo pubblico garantisce l'equo accesso al mercato, cosa che la privatizzazione non può garantire». E quale sarebbe il modello migliore? Secondo Mariani il terminalismo per conto terzi, «quello armatoriale funziona solo se ottimizza la gestione portuale, il peggiore è il misto». Il privato è quindi il soggetto privilegiato di una concessione portuale: sarà uno dei pochi capace di garantire un certo traffico e di spendere ingenti risorse in infrastrutture. «Sono gli imprenditori a indicare all'Adsp le destinazioni d'uso, è chiaro che in questa situazione la pubblica amministrazione domanda all'imprenditore, non viceversa», spiega Francesco Munari, ordinario di Diritto dell'Unione europea all'Università di Genova e membro di Sipotra.
 
La gara è obbligatoria oppure no? Il Consiglio di Stato ha stabilito che una gara è necessaria quando la concessione riguarda un'area nuova (sentenza 127/2018). «Su questo la legge è abbastanza chiara, come nell'articolo 20 del Codice degli appalti: se l'opera è a spese del concessionario, non si applica la procedura pubblica», spiega Munari. Anche qui il Codice della navigazione è un principio guida, «mentre il fondamento giuridico dell'ART è dubbio», secondo Munari.
 
Perché la riforma dei porti del 2016 non ha toccato le concessioni? Perché è una materia complessa, richiede flessibilità nelle decisioni e, soprattutto, «una riforma delle concessioni avrebbe costituito una forte rottura col passato e così si è preferito mantenere una sostanziale continuità con la legge 84/94. Intanto però il tempo è passato, l'ART ha deliberato sull'equo accesso alle infrastrutture e si attendono altri decreti ministeriali», spiega Pietro Spirito, presidente dell'Autorità di sistema portuale del Tirreno centrale (Napoli, Salerno, Castellammare di Stabia).
 
La piramide delle authority che intervengono nella portualità si può strutturare in questi termini. L'Adsp e il MIT si trovano in cima in qualità di enti vigilanti, regolatori e programmatori. Segue l'AGCM con poteri di giudizio (vedi sentenze 2012 sul pilotaggio del porto di Messina e quella del 2017 sulla concessione per un terminal nel porto di Livorno); l'ART (vedi articolo 8 della legge 84/94: il presidente dell'Adsp agisce nel rispetto delle deliberazioni di ART); l'Anac (d. lgs 50/2016), la Commissione Ue; le Regioni (art. 117 Costituzione) e le Capitanerie di porto (art. 14 legge 84/94). «Tutti questi regolatori non sono compatibili tra loro, c'è bisogno di una riforma legislativa», secondo Zunarelli. «Siamo in difficoltà con un assetto giuridico così. Perché non inserire anche la Lega Calcio?», osserva caustico Spirito. «La verità – conclude - è che siamo un'Obbedienza, o una Dipendenza, di sistema portuale, non un'autorità. Siamo tutti autorità, nessuno esprime autorevolezza». 
Tag: porti