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14 marzo 2025, Aggiornato alle 18,16
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Pirateria, un rapporto sui costi umani

Migliaia di marittimi tenuti in ostaggio sulle navi catturate subiscono ogni tipo di vessazioni. Spesso le notizie sulla loro sorte sono frammentarie, contraddittorie. Cerca di far luce sul fenomeno uno studio di One Earth Future  di Marco Molino


"Io sono stato legato. Ma dopo di me è andata peggio al direttore di macchina, che è stato incaprettato e picchiato. Mi hanno costretto a gettargli addosso acqua di mare gelata. Quando dopo due ore lo hanno liberato era sconvolto". L'ufficiale di coperta della Savina Caylyn, Crescenzo Guardascione, intervistato da Il Mattino pochi giorni dopo la sua liberazione, ricordava ogni momento degli undici mesi di prigionia trascorsi nelle mani dei pirati, durante i quali è dimagrito di 33 chili. Un racconto lacerante, il suo, che riecheggia altre storie drammatiche riportate da alcuni tra le migliaia di lavoratori del mare di ogni parte del mondo che negli ultimi anni sono stati rapiti dai predoni somali. Molti di loro attendono ancora di essere tratti in salvo (al momento sono circa 200 su 13 navi). Qualcuno non tornerà più a casa: fatto fuori per mandare un "messaggio" agli armatori o perché si era ribellato.


Le dolorose vicissitudini degli ostaggi non sempre finiscono sui giornali o in Tv. Più spesso il loro destino si confonde con quello delle navi sulle quali sono stati catturati. Le notizie sono poche, contraddittorie. Le trattative per il loro rilascio avvengono nell'ombra. Una luce sul fenomeno cerca di accenderla lo studio condotto da  Kaija Hurlburt e il suo staff: "The Human Cost of Somali Piracy", un dossier promosso dalla fondazione non governativa One Earth Future, la stessa che in una precedente ricerca aveva già approfondito le implicazioni economiche della pirateria. Nell'attuale report sono elencati i principali abusi di tipo fisico di cui sono vittime molti del marittimi rapiti. Si va dalla privazione di cibo, acqua e cure mediche, ai pestaggi (spesso eseguiti con i calci dei fucili e dei mitra); dai "giochi" al bersaglio con i getti delle manichette antincendio, all'isolamento nei frigoriferi della nave, o alle esposizioni prolungate al sole torrido sul ponte. E poi torture varie. Una delle più frequenti consiste nel legare l'ostaggio per i piedi e immergerlo in mare.

E come se non bastasse tutto questo ad annientare un uomo,  si aggiungono le vessazioni che rientrano nella categoria dei "Psychological abuse". Le ripetute minacce di morte (con le armi spesso puntate alla tempia dei malcapitati), le segregazioni solitarie che possono durare anche mesi, o umiliazioni del tipo: essere costretti a camminare nudi intorno alla nave. Talvolta i pirati sembrano divertirsi con i loro ostaggi. Il capitano di un mercantile ha raccontato che i carcerieri, annunciandogli la sua prossima esecuzione, lo avevano esortato a scrivere una lettera d'addio alla famiglia.

Esperienze che incidono sulla psiche delle vittime anche a distanza di tempo. Anche per tutta la vita. Tanto che in Italia (uno dei paesi più colpiti dal fenomeno) il Centro Internazionale Radiomedico (Cirm), istituto nel 1935 per fornire assistenza via radio ai marittimi imbarcati su navi senza medico a bordo, negli ultimi anni ha dovuto sviluppare le proprie attività per far fronte a questa nuova emergenza. Molti ex prigionieri dei corsari soffrono di sindrome postraumatica da stress. Il presidente del Cirm, Francesco Amenta, ricorda che l'obiettivo principale resta quello di far ritrovare a queste persone un equilibrio interiore, necessario anche per una nuova collocazione nel mondo del lavoro.

Per molti di loro, diventa inaccettabile la sola idea di riprendere a navigare. E questo vale anche per chi, talvolta, è rimasto in ostaggio dei pirati solo per poche ore. Come nel caso dei marinai del cargo MV Arillah-I, attaccato nel 2011. Alla vista dei barchini aggressori, tutto l'equipaggio riuscì a rifugiarsi nella cittadella, la parte fortificata della nave. I pirati salirono a bordo e per trenta ore cercarono rabbiosamente di forzare le entrate, di creare varchi per penetrare all'interno.  Intanto gli uomini blindati erano inermi, terrorizzati. Poi l'arrivo di una nave delle forze militari internazionali risolse la situazione mettendo in fuga gli assalitori.  Ma quanto sono costate, quelle trenta ore, per ciascuno dei marittimi in trappola?

Marco Molino