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19 marzo 2024, Aggiornato alle 09,02
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Politiche marittime

Federagenti: sull'ambiente sprechiamo tempo

L'aumento dei costi energetici sta attutendo lo slancio. Ma per l'Italia, secondo il presidente Santi, ci sono annose questioni da risolvere, come i dragaggi e lo scarso appeal portuale

(Gadjo_Niglo/Flickr)

Il World Economic Forum ha in questi giorni pubblicato il suo report 2022 identificando come primo fattore di rischio per l'economia mondiale nei prossimi dieci anni il mancato raggiungimento degli obiettivi globali sull'ambiente. «Nulla di più evidente», afferma Alessandro Santi, presidente della Federagenti, «non solo per la complessità degli obiettivi stessi, ma anche a causa degli intrecci geopolitici a cui tali obiettivi sono fatalmente interconnessi. Le legittime posizioni ambientaliste, che hanno avuto il merito di portare il green deal al primo punto di attenzione dei governi del mondo, sono purtroppo diventate spesso una spinta per azioni politiche disattente alla sostanza e appunto guidate da facili populismi o consensi. E ciò sta purtroppo accadendo in Italia per quella che è la principale e più concreta "risorsa" nella quale attuare politiche serie di transizione ecologica: il mare».

L'Italia, insieme ad altri Paesi europei, ha compiuto nell'ultimo anno, parallelamente a un aumento vertiginoso dei costi dell'energia e dell'inflazione, una brusca retromarcia sul gas naturale - che è molto meno disponibile di prima, per via dell'aumento della domanda e perciò più caro - e sui combustibili fossili, che sono tornati ad essere maggiormente utilizzati rispetto alle prospettive ambientali in sede ONU. Anche l'energia nucleare, che negli ultimi tempi viene percepita come più sicura rispetto al passato, non vede ancora il consenso che, secondo molti esperti sulla materia, meriterebbe. 

Lo spreco di tempo è anche uno spreco logistico. Santi ricorda un fenomeno tipico delle importazioni italiane, molte delle quali fanno più strada del necessario. «Oggi le grandi navi container oceaniche approdano nei porti del nord affrontando più giorni di navigazione marittima passando sotto il nostro tacco e uscendo via Gibilterra, e la merce trasportata subisce un successivo trasporto terrestre verso Sud; tutto questo invece di utilizzare i porti del nord Italia, il che significa centinaia di migliaia di tonnellate di combustibile fossile sprecato e conseguenti emissioni di gas nell'ambiente».

«Il governo italiano – continua Santi - si è fatto del green deal un cavallo di battaglia, mettendo in campo un ministero della transizione ecologica, un ministero dei Trasporti divenuto "sostenibile" e, da qualche giorno, anche un ministro plenipotenziario, inviato speciale per il cambiamento climatico in comproprietà tra esteri e transizione ecologica», Santi si riferisce alla nomina del 15 gennaio da parte del ministro degli Affari Esteri, Luigi Di Maio, e dal ministro per la Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, di Alessandro Modiano come inviato speciale per il cambiamento climatico. «Dall'altro – continua Santi – si è ignorato che la risposta a gran parte dei problemi di transizione ecologica e di eco-sostenibilità potrebbero essere trovati nel mare, diventato invece per il nostro Paese un vero e proprio convitato di pietra».

Una condizione per competere a livello internazionale potrebbe essere la trasformazione dei dragaggi portuali in una consuetudine, in un'opera di manutenzione dei fondali, e non in un lavoro straordinario pieno di paletti ambientali, che si traducono il più delle volte in una mostruosa burocrazia del enti regolatori di queste prassi. Senza dragaggi celeri e costanti, afferma Santi, «prima o poi i principali scali marittimi risulteranno, all'insegna di un ambientalismo miope, impraticabili per gran parte delle navi che rischieranno in tempi più brevi di quanto si pensi, di arenarsi». 

«Volgiamo lo sguardo a Sud e controlliamo il nostro mare», conclude Santi, «i paesi del Nord Africa sono produttori di gas naturale e saranno grandi produttori di fonti energetiche rinnovabili strategiche. L'Italia si trova nella posizione migliore di collegamento attraverso il mare con il continente africano, sia marittimo che fisico sotto forma di pipeline o di cavi sottomarini; trasformiamo i nostri porti in hub energetici, nodi delle future smart grid energetiche. Proprio perché non c'è un Planet B e per garantire la necessaria transizione ecologica, ricominciamo a fare rinnovate scelte che negli ultimi anni un miope ambientalismo ci ha negato di poter fare».