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14 ottobre 2024, Aggiornato alle 15,47
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Il mare in tre domande a... Luca Sisto

Un esperto di shipping e politiche marittime spiega come valorizzare il settore e far conoscere al paese la blu economy


di Marco Molino 

Tanti non ci pensano, o magari se ne sono dimenticati, ma siamo sempre stati e rimaniamo un paese di naviganti. Sul mare ci viviamo e lavoriamo, lo studiamo e lo sfruttiamo (talvolta ne abusiamo). Eppure sembra che ancora non conosciamo abbastanza le sue tante facce: le questioni ambientali, le potenzialità della blu economy, il lavoro a bordo e nei porti, lo sviluppo tecnologico.

Luca Sisto, come possiamo risvegliare oggi in Italia quel rapporto con il mare che pare inaridito dalla vita frenetica del nostro tempo? Quali passi dobbiamo compiere per riscoprirlo?
«Chiamiamo Terra un pianeta fatto per oltre il 70% d'acqua: da qui dobbiamo iniziare la nostra riflessione. La terra è l'elemento noto, naturale. Il mare è l'ignoto, bagnato dall'ancestrale timore del naufragio. Vivendo a Roma, mi è sempre stato difficile parlare del mestiere che faccio e non è patrimonio comune nemmeno il termine "armatore" se è vero che i più lo riferiscono al costruttore di navi se non addirittura al mondo delle armi. Al tempo stesso, mi rendo conto di quanto sia difficile percepire l'importanza delle vie marittime e delle navi per la nostra vita di ogni giorno, circondati come siamo da automobili e palazzi mentre andiamo a scuola o al lavoro. Sebbene, come noto, tutto o quasi ci viene dal mare, dal cibo all'energia, fino ai nostri vestiti. Mentre facciamo il pieno alla nostra automobile dovremmo pensare a ritroso il percorso che ha fatto la benzina dal golfo Persico fino a raggiungere il benzinaio sotto casa. Percorso per lo più marittimo, che però non vediamo... Forse, per poter avvicinare il grande pubblico al nostro mondo occorrerebbe cominciare dalla prima istruzione, facendo scoprire ai nostri figli l'"altro" mare. La visita di un porto, salire a bordo di una nave, inserire nei testi scolastici dei capitoli dedicati allo shipping, potrebbero essere strumenti di conoscenza e di avvicinamento ad uno dei settori trainanti del Paese: il cluster marittimo produce più di 30 miliardi di euro e dà lavoro a più di 470 mila persone. Perché se ne parla solo quando accade qualcosa di grave? Un incidente, uno sversamento, l'attacco dei pirati e da ultimo il fenomeno della migrazione via mare sono gli unici eventi mediaticamente interessanti. Occorre trovare la formula giusta per ridare visibilità alla straordinaria normalità del trasporto marittimo. La presa di coscienza della nostra marittimità è uno dei temi che anche l'Istituto Italiano di Navigazione sta perseguendo con convinzione. E il presidente di Confitarma, Mario Mattioli, lo declina come richiesta ufficiale dell'istituzione di un Amministrazione  unica dedicata al mare».

Sul mare un tema davvero trasversale è quello della sicurezza: dalla difesa di navi ed equipaggi dagli attacchi dei pirati al controllo e alla salvaguardia delle vite nel Mediterraneo dei migranti. Quali sono le buone prassi da seguire per una corretta gestione delle emergenze? E in che modo la politica può sostenere il lavoro di chi è in prima linea?
«Indubbiamente il tema della sicurezza, declinato nelle due accezioni di safety e security, è centrale. Devo riconoscere che il contrasto alla pirateria marittima ha rappresentato un passaggio importante. Grazie al tavolo tecnico Marina Militare/Confitarma, che ha dato vita alla legge130/2011 si è riusciti a condividere tra Amministrazione e industria un obiettivo comune: dare sicurezza alle navi e agli equipaggi a beneficio dell'interesse nazionale. Interesse dell'economia di terra, minacciata dai pirati che agivano in un mare, l'Oceano Indiano, solo apparentemente lontano. Ma in realtà vicinissimo alle nostre città solo riflettendo sul fatto che da lì passa il 30% del trasporto di petrolio ed il 20% dei carichi del mondo. Aver evitato la marginalizzazione del Mediterraneo è stata una conquista del Paese e non solo una vittoria della lobby armatoriale. La nuova sfida del fenomeno della migrazione, poi, ha rimesso in crisi il Mare Nostro rischiando di farlo diventare un cimitero salato. Da questo punto di vista, lo straordinario impegno profuso dalle Istituzioni e dall'armamento nell'opera di salvataggio ha rappresentato un altro capitolo glorioso della nostra marittimità. Ma al tempo stesso occorre ribadire che un mare insicuro è un mare più costoso e quindi la nostra economia nazionale risente della vicinanza alla fonte del problema che è senza dubbio il continente africano. Dopo la minaccia del terrorismo, della pirateria e della migrazione, oggi si affaccia un nuovo problema per la comunità marittima: la sfida della cyber security».

Se la cultura del mare deve riconquistare e consolidare un suo spazio nel dibattito nazionale, è pure necessario ripartire dalle nuove generazioni. Come sta evolvendo il percorso formativo delle attuali accademie e degli istituti navali?
«Nonostante qualche polemica strumentale, sottolineo il percorso di eccellenza che la comunità marittima sta compiendo in questi ultimi anni sul tema del lavoro e della formazione dei nostri giovani ufficiali. Lo testimonia la nascita e lo sviluppo degli ITS di Genova, Gaeta e da ultimo Trieste insieme con la fervente attività dei centri di formazione dedicati alla crescita professionale qualificata della gente di mare. L'asset principale di una moderna compagnia di navigazione resta l'uomo. Navi più grandi, tecnologicamente avanzate e multietniche richiedono una governance illuminata, un contatto costante con gli uffici di terra, un'integrazione di professionalità mature e innovative, una presa di coscienza della responsabilità, del sacrificio ma anche della grande opportunità che i mestieri del mare riservano ai giovani. Un comparto, quello dello shipping moderno, dove non ci si può improvvisare, dove la competizione e la globalizzazione dei mercati hanno reso ancor più dinamico un mondo in movimento per definizione. Ma a queste sfide la nostra industria marittima potrà partecipare solo se messa in grado di operare su un piano comune di regole e di competitività. Il percorso compiuto dal 1998 con l'istituzione del Registro Internazionale resta il pilastro su cui poggia l'intero sistema marittimo nazionale. A chi intende minarlo, dico che sarebbe folle rinunciare alle conquiste condivise tra Amministrazione e industria, rompere il patto che ci ha consentito di crescere e raggiungere primati mondiali in alcuni settori. Che senso avrebbe parlare di formazione, di blu economy, di tecnologia, ambiente e sostenibilità se non potessimo più inalberare il tricolore a poppa delle nostre meravigliose navi?»


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Luca Sisto è nato a Roma nel 1964. Dopo aver ottenuto la laurea magistrale con lode in Scienze Politiche presso l'Università della Sapienza, nel 1989 viene assunto in Confitarma, la Confederazione nazionale degli armatori. Nominato dirigente nel luglio 2001 con l'incarico di Capo del Servizio Politica dei Trasporti. Nel corso degli anni ricopre all'interno della confederazione i ruoli di Segretario della Commissione Navigazione a Corto raggio e della Commissione di Navigazione Oceanica, prendendo parte ai numerosi tavoli tecnici istituzionali aperti dalle diverse Autorità nazionali ed internazionali per la definizione di vari aspetti della politica marittima. Tra cui quelli in materia ambientale e la security, in particolare l'adozione di una strategia di contrasto alla pirateria marittima nel Corno d'Africa e nel Bacino Somalo. È, inoltre, membro del CISM – Comitato interministeriale per la sicurezza dei trasporti marittimi e dei porti – istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il 1° gennaio 2018 è stato nominato dal Consiglio Confitarma Direttore Generale della Confederazione. Tra gli incarichi esterni ricoperti, è attualmente il Vice Presidente per i trasporti marittimi dell'Istituto Italiano di Navigazione, già fondato nel 1959