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02 maggio 2024, Aggiornato alle 17,44
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Politiche marittime

Federagenti: "L'economia globale si gioca sulla fragilità del mare"

Secondo Alessandro Santi le tensioni sul Mar Rosso stanno evidenziando come il controllo delle rotte commerciali marittime sia diventato un fattore chiave

La nave anfibia "Mount Whitney" della US Navy naviga nel Golfo di Aden con la fregata italiana "Carlo Bergamini", il cacciatorpediniere "USS Gonzalez", il mercantile "Choctaw County" e la ausiliaria "Lyme Bay" della Royal Navy (U.S. Navy Page/Flickr)

«Il mare, con un commercio marittimo aumentato anche nel passato anno del 3 per cento a 12,4 miliardi di tonnellate, con più dell'80 per cento delle merci scambiate nel mondo che viaggiano su navi, è quanto di più fragile possa esistere». Lo afferma Alessandro Santi, presidente di Federagenti, che sottolinea come sia sempre più preoccupante «l'incapacità diffusa di governare questo prepotente ritorno al centro, del mare. In un mondo globalizzato, lo strumento più efficace per fare pressione con minor impiego di risorse e dispendio di vite umane è il controllo del mare, o meglio, dei suoi punti strategici. Se poi le considerazioni si estendono alla rete di gasdotti, oleodotti, elettrodotti e cavi per la trasmissione di dati, la "sorpresa" con cui l'Occidente, ma in genere tutti i Paesi ne scoprono l'importanza strategica è sconcertante».

Secondo il presidente di Federagenti l'impatto dei conflitti in atto e degli attacchi ai punti strategici dell'interscambio via mare si ripercuoteranno inevitabilmente su tutte le economie europee e in particolare su quella dell'Italia, «incapace ad oggi di svolgere un ruolo da protagonista che, invece, con il cosiddetto Piano Mattei si propone di ricoprire. Ma l'assenza dalla cabina di comando delle strategie mondiali rischia di essere pagata a caro prezzo da chi già oggi si avvia, con il perdurare della situazione, a subire uno choc di approvvigionamento, anche energetico, e di aumento dei costi quali diretta conseguenza dell'adattamento della catena logistica con la circumnavigazione dell'Africa e il potenziale black-out mediterraneo».

«Alcuni media - continua Santi - dei primi due Paesi, Stati Uniti e Gran Bretagna, impegnati direttamente sul fronte bellico nello stretto di Bab el-Mandeb e nel Mar Rosso, ne parlano apertamente: il destino del mondo, sia dal punto di vista geo-strategico e militare, sia dal punto di vista economico, commerciale, fonti energetiche incluse, si gioca tutto sul mare. E ciò sino all'estrema conseguenza di ipotizzare una Nuova era del potere marittimo».

Secondo Federagenti oggi competere in campo marittimo richiederà, anche ai paesi non riconosciuti come potenze globali ma bagnati dal mare, di implementare «sistemi di controllo e stabilizzazione non solo militare, ma anche e soprattutto un cambiamento di mentalità. La diplomazia dovrà concentrarsi sui porti, sulle alleanze tra Stati sul mare e sulle rotte commerciali».

«E l'appoggio che l'Olanda, Paese marittimo e logistico per eccellenza, ma anche successivamente Germania e Danimarca – conclude Santi – hanno dato alla missione anglo-americana contro gli Houthi, avrebbe dovuto fornire, anche all'Italia, un segnale da cogliere subito: ormai la disconnessione fra geo-politica e interscambio mondiale via mare è anacronistica. Così come è anacronistico guardare a ciò che sta accadendo nel mondo come se si trattasse di una tempesta perfetta e inattesa. Sul mare si sta costruendo un nuovo ordine mondiale ed è paradossale, oltre che suicida, che Paesi come l'Italia o anche la Spagna (all'insegna di un europeismo di comodo) attendano lumi da Bruxelles e da una Unione europea, una volta di più lenta e poco efficace, accettando implicitamente di affidare ad altri il loro destino».

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