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26 luglio 2024, Aggiornato alle 19,41
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Logistica

Covid accelera le trasformazioni della logistica

Porti e shipping sono profondamente cambiati. Il just in time viene ripensato, la catena logistica intercontinentale si fa vulnerabile e la "normalità" si allontana. Ma la pandemia c'entra relativamente

(afro.who.int)

di Marco Conforti* 

Un settore per definizione globale come quello dello shipping e della portualità non poteva non essere colpito dalla pandemia Covid-19. Credo che sarà un tema che ritornerà spesso anche durante i lavori della nostra assemblea Agorà [evento Confetra] in programma il 23 settembre.

Anche nel nostro Paese l'impatto sui traffici merci e passeggeri è stato ed è tuttora rilevante: si va dalla completa cancellazione dei traffici crocieristici al dimezzamento di altre merceologie (ro-ro e rinfuse) ad un approssimato -10 per cento dei flussi container. Simili trend si riscontrano anche su scala mondiale: per esempio il traffico container mondiale è calato dell'8,7 per cento tra gennaio e maggio (covid19@ITF_Forum) mentre ovunque il mercato crocieristico è stata la prima vittima dei lockdown e delle limitazioni ai viaggi.

Fin qui, la cronaca dolorosa di una crisi mondiale, crisi dalla durata indecifrabile e dalle cause inaspettate, o almeno a cui non eravamo preparati. Ma da tutto ciò possono essere letti, al di là di risultati statistici negativi e soprattutto dei correlati drammi economici e personali, alcuni fattori di cambiamento sulla cui durata, importanza e conseguenze ci si interroga. Ci siamo resi conto per esempio della vulnerabilità delle nostre catene logistiche, che hanno basato le loro soluzioni operative sulla straordinaria efficienza e convenienza del trasporto marittimo. Queste soluzioni si sono rivelate deboli se sottoposte alla pressione di un fatto imprevisto come la pandemia nei nodi produttivi e di consumo. Ci siamo trovati in difficoltà nella fornitura dei materiali di base per le mascherine, abbiamo scoperto un monopolio produttivo di medicinali primari in Estremo Oriente, ricordato che per l'agro-alimentare dipendiamo per la metà dei prodotti da forniture estere, abbiamo riscoperto che la maggior parte dei processi industriali sono basati sul puntuale arrivo di componentistica, non necessariamente sofisticata, che proviene "dall'altro mondo" e che la pandemia ha colpito dei propri processi manufatturieri e trasportistici. Ci siamo interrogati se tutto questo non vada a riconfigurare il mantra industriale/logistico del just in time, laddove tutto funziona se tutto è disponibile quando necessario, a difetti 0, scorte 0, con un tempo di consegna al mercato 0 etc.
 
Di conseguenza, anche la definizione di ciò che è strategico per una comunità è cambiata radicalmente in base alla sua vulnerabilità in settori vitali. Abbiamo poi riscoperto il tema della prossimità, rendendoci conto come la vicinanza abbia un valore di affidabilità e flessibilità verso imprevisti "disturbi" che una produzione a 10 mila miglia non può avere. E che quindi una catena produttiva logistica più breve, magari sdoppiata o ridondante, e una diversa strategia delle scorte potrebbe essere preferibile.

E, come ultimo esempio, scopriamo che lo strumento principale delle connessioni mondiali, il traffico marittimo, si può rendere indipendente dalle contingenze di mercato, avendo trovato il modo di adeguare la propria offerta, garantendo noli (Drewry, World Container Index, 3 settembre 2020) e utili in forte crescita, pur in fase di domanda calante. E ciò, con un degrado del servizio ai propri clienti (Clecat) e difficoltà operative nei porti, conseguenti alla sistematica cancellazione di viaggi (Haralabides).

A guardar meglio, comunque, diversi di questi fattori erano già presenti, sia pur in forme diverse, anche prima della pandemia. Il commercio mondiale era in fase di consolidato rallentamento, la crescita dei servizi in costante crescita rispetto a quella dei beni materiali, le nuove tecnologie stavano già cambiando i modelli di produzione e logistica, erano già in atto esperienze di riavvicinamento dei punti di produzione a quelli di consumo (re-shoring e near-shoring), si affermava una accelerazione dei processi di consolidamento dei principali attori della logistica. In generale, si imponeva una nuova valutazione sulla stessa globalizzazione, mito trentennale win-win, che finalmente veniva valutata anche per manifesti aspetti di dumping ambientale e sociale, nonché per la fiscalità assente o molto ridotta che ha favorito e su cui è basata. Senza menzionare quelli, ormai manifesti, correlati agli aspetti geo-politici.

In generale, il libero commercio mondiale cominciava a mostrare i rischi – non solo economici – su cui era basato: in slogan, era avviata una ricerca di fair trade invece che puro free trade.

Come tutto ciò impatterà (e sta già impattando) sullo shipping e sui porti è da valutare: la regionalizzazione o le duplicazioni delle catene di rifornimenti industriali e di consumo potrebbero portare a maggiori utilizzi di navi di stazza media su rotte più brevi e rallentare la corsa al gigantismo navale, le nuove tecnologie (automazione e stampanti 3-D, tra gli altri) ridurre i volumi complessivi, precauzioni politiche ridurre gli investimenti esteri in settori strategici e, su tutto, il fattore ambientale. Mi riferisco all'ambizioso regolamento per ridurre i combustibili fossili per le navi, quello dell'International Maritime Organization, il greenhouse gas reduction strategy al 2050, gli obbiettivi Green Deal dell'Unione europea e l'affermarsi di nuova coscienza verde, già visibile, per cui un bene viene venduto anche (soprattutto?) per l'impronta ambientale della sua produzione e trasporto.

Infine, il consolidamento orizzontale e verticale delle linee marittime contribuisce a consolidamenti paralleli di altri attori, per esempio terminalisti che si espandono nel trasporto marittimo, come DP World, o nella logistica, come PSA, e a operazioni di fusione e acquisizione per bilanciare le dimensioni tra i vari attori della catena. Anche in ciò c'è bisogno di regole uguali per tutti, sia in campo di tutela della concorrenza, che in quello amministrativo e fiscale. E, soprattutto, di trasparenza.

Quanto c'entra in tutto questo il virus?

* vicepresidente Confetra

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