a cura di Paolo Bosso
Se nel 2020 arrivasse una nuova recessione, come reagirebbe lo shipping? Un nuovo rapporto di Clarksons Platou Securities ha calcolato che gli effetti non sarebberi devastanti come l'ultima volta, quando la crisi finanziaria del 2008-09 ha ridimensionato fortemente i consumi e di conseguenza la domanda di trasporto. Oggi sono molte di più, rispetto al passato, le compagnie con basso loan to value, il rapporto tra il prestito e il valore della proprietà.
Gli armatori dei container hanno reagito nell'ultimo decennio. Si sono alleati, stanno investendo nella logistica di terra e i bilanci degli ultimi anni hanno permesso di recuperare il grosso delle perdite accumulate. Anche le navi cisterna hanno uno scenario più favorevole rispetto a dieci anni fa. Gli Stati Uniti producono molti più barili di prima e ciò ridimensiona il potere dell'OPEC, il cartello composto da tredici grossi produttori di petrolio (Algeria, Angola, Arabia Saudita, Ecuador, Emirati Arabi, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Nigeria, Venezuela, Gabon, Indonesia). Gli armatori di carico secco non avrebbero grosse ripercussoni, considerando che niente sarà come il crollo dei noli del 2008.
Una nuova recessione renderebbe sostanzialmente stagnanti i guadagni. In caso di recessione «i tassi di noleggio marittimo sarebbe leggermente al di sotto dei tassi di pareggio – spiegano gli autori della ricerca, il direttore generale Frode Mørkedal e gli analisti Erik Hovi ed Henriette Vevstad - e quindi non si prevedono gravi difficoltà finanziarie». Tuttavia, «abbiamo visto in passato che le flessioni potrebbero rivelarsi peggiori del previsto».
L'armatore più al sicuro
Quale compagnia sarebbe più al sicuro? Per Clarckson non ci sono dubbi: quelle con bassa loan to value. Clarkson elenca anche quali sono, tra quelle coperte da Clarksons Platou. Nel settore cisterna: Euronav, Nordic American Tankers, Diamond S Shipping, DHT Holdings e Internatioanl Seaways. Nel settore rinfuse secche: Grindrod, Genco, Eagle Bulk e 2020 Bulkers.
Le economie del mondo
I segnali di una recessione in arrivo ci sono e la maggior parte degli economisti se l'aspetta. Il WTO prevede un commercio mondiale debole. Sono proprio le economie dei principali paesi industrializzati a non andare bene. Secondo gli ultimi dati ufficiali, nel secondo trimestre il PIL tedesco – la Germania è la principale economia d'Europa - si è contratto dello 0,1 per cento e quest'anno le stime parlano di una crescita dello 0,5 per cento. L'economia cinese cresce sempre, ma rallenta, a ritmi come non si erano mai visti da vent'anni. L'Italia ha avuto una leggera recessione tra la fine del 2018 e l'inizio del 2019 ed entro la fine dell'anno dovrà reperire oltre 40 miliardi per evitare l'aumento dell'IVA sui prodotti di vendita, con il conseguente rincaro di quasi tutti i prodotti di consumo, anche energetici. Negli Stati Uniti si è invertita la curva dei rendimenti sui titoli di stato, indicatore tipico di una recessione in arrivo. Il Regno Unito è impelagato nella Brexit, col rischio di uscire dall'Ue con un 'no deal', con serie conseguenze sull'import-export e la reperibilità dei prodotti all'interno del Paese. È una situazione che il Fondo Monetario Internazionale ha definito «delicata» e a luglio ha ulteriormente tagliato le previsioni di crescita mondiale rispetto alle stime più ottimistiche di aprile, che già erano in calo rispetto a quelle dei mesi precedenti.
L'ambiente aiuta
A sostenere gli utili degli armatori vengono in soccorso le politiche ambientali. Secondo Clarckson, lo slow steaming, il viaggio a bassa velocità per risparmiare sui costi del carburante (che dal 2020 dovranno essere ancora più raffinati perché dovranno avere pochissimo tenore di zolfo) abbassa considerevolmente i costi di gestione e permette agli armatori «di evitare il collasso degli utili».
Container
La buona notizia, evidenzia lo studio del centro bancario del grande gruppo londinese, è che il trasporto dei container è meno legato del passato alla crescita del Pil. Il consolidamento nelle alleanze armatoriali ha permesso di ridurre il gap tra portafoglio ordini e navi in circolazione: nel 2008 era del 50 per cento, oggi è dell'11 per cento. Il problema, però, è che se l'eccesso di ordini non c'è più dall'altro lato costruire tutte queste navi ha prodotto debito.
Clarkson ha stimato cosa potrebbe succedere allo shipping dei container con una crescita del PIL mondiale del 2 per cento nel 2020 (ultima previsione) anziché del 3,3 per cento come previsto fino a circa un anno fa. Attualmente il moltiplicatore commerciale è pari a 1,2. Significa che se il PIL mondiale cresce dell'1 per cento quello del commercio marittimo via container cresce dell'1,2. Questo significa che il container è molto meno legato rispetto al passato all'oscillazione dei consumi: all'inizio degli anni 2000 il moltiplicatore PIL-trasportato era 1 a 4, dieci anni fa 1 a 2, oggi 1,2. La domanda di portacontainer potrebbe aumentare del 6,7 per cento nel 2020 ma in uno scenario di recessione salirebbe solo dell'1 per cento.
Nolo container
Attualmente per le navi da 4,400 teu il tasso è di 11 mila dollari al giorno, che salirebbero a 14,600 al giorno nel 2020. In caso di recessione si precipiterebbe a 8,800 dollari al giorno. Salendo di capienza, per quelle da 8,250 teu il tasso dale a 33,900 dollari al giorno, che scendono a 22,600 al giorno in caso di recessione.
In sintesi, ottimisticamente parlando, con una crescita del 2 per cento del PIL mondiale nel 2020 il trasporto di container andrebbe incontro a una stagnazione. In caso di recessione, secondo Clarksons, le conseguenze sarebbero gravi ma non così drammatiche come l'ultima volta.
Cisterna
L'ascesa degli Stati Uniti nel commercio di greggio ha cambiato le carte in tavola, cambiando radicalmente il panorama delle navi cisterna rispetto a dieci anni fa. Nel 2007 la produzione statunitense di greggio era di 5 mmilioni di barili al giorno mentre tra gennaio e maggio di quest'anno è stata di 12 milioni. Nel 2007 le esportazioni USA di greggio non erano consentite in nessun paese oltre al Canada, oggi vengono esportati in tutto il resto del mondo 2,8 milioni di barili al giorno. L'ascesa degli Stati Uniti ridimensiona il ruolo dell'OPEC e di conseguenza riformula gli equilibri e i contrappesi nelle rotte commerciali marittime.
Con un PIL mondiale in calo al 2 per cento nel 2020 la domanda giornaliera di petrolio diminuirà a 1,3 milioni a 700 mila, portando, spiega Clarksons, ha un prezzo intorno ai 40 dollari a barile. L'OPEC taglierebbe almeno 700 mila barili al giorno con un prezzo medio per barile di 50 dollari.
Le nuove politiche ambientali del 2020 dell'International Maritime Organization (IMO), che porteranno a taglio drastico delle emissioni di zolfo, potrebbero aumentare la domanda di carburante ma solo in determinate condizioni. L'uso degli scrubber, di filtri, al posto di nuovo bunker, per esempio, porterebbe a un aumento limitato della domanda.
Nolo cisterna
I tassi di nolo delle petroliere più grandi, da 2 milioni di barili, saliranno da 35 mila dollari attuali a 60 mila nel 2020, in parte trainati proprio dai regolamenti IMO, secondo Clarksons. Con una recessione non saliranno oltre i 40 mila dollari al giorno.
Rinfuse solide
Le ripercussioni saranno principalmente nell'asset valure e nei tassi di nolo. La crisi finanziaria del 2008 ha stroncato un boom senza precedenti della domanda di carico secco. Nel 2008 era, per una capesize da 100 mila tonnellate, di 190 mila dollari al giorno con asset value di 150 milioni. Oggi le tariffe sono di 16,200 dollari, una capesize nuova ha un asset di 50 miioni mentre una di oltre 5 anni di età 30 milioni. Nel 2020 il tasso medio salirà a 18,300 dollari ma con una recessione scende a 12,600. La domanda di nuovo tonnellaggio dovrebbe salire del 4,3 per cento nel 2020, con una recessione dello 0,9 per cento.