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24 marzo 2025, Aggiornato alle 12,59
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Automazione portuale, solo a Vancouver 4 mila posti di lavoro a rischio

Per il sindacato portuale della West Coast e del Canada saranno quasi 10 mila i posti di lavoro mancanti nei prossimi anni nella Columbia Britannica. Gli squilibri economici della meccanizzazione


a cura di Paolo Bosso

L'automazione dei terminal container, più veloce in alcuni posti, meno in altri, brucerà migliaia di posti di lavoro nel giro dei prossimi anni solo nella Columbia Britannica canadese. Quasi 10 mila nel giro di vent'anni tra le regioni di Delta, Vancouver e Prince Rupert, che si affacciano sul Pacifico. La stima viene dall'International Longshore and Warehouse Union (ILWU) - grosso sindacato americano che rappresenta i portuali della West Coast degli Stati Uniti, del Canada e delle Hawaii - che ha commissionato uno studio a PRISM Economics and Analysis, una società di analisi di Toronto specializzata nel mercato del lavoro.

Nel complesso, per la Columbia Britannica sarebbero a rischio 9,200 posti di lavoro, con una perdita economica complessiva per la regione pari a 600 milioni di dollari l'anno. «Senza contare che i programmi governativi perderebbero 100 milioni di dollari di finanziamenti», aggiunge Rob Ashton, presidente dell'ILWU, nel corso della conferenza di presentazione, tenutasi la settimana scorsa a Vancouver.

Lo scenario di PRISM di partenza è quello formulato dalla World Maritime University a gennaio in uno studio realizzato insieme all'International Transport Workers Federation: entro il 2040 nove gruisti su dieci e la maggioranza dei lavoratori dei terminal container dei principali porti del mondo saranno rimpiazzati dalle macchine. Un cambiamento radicale che riguarderà quindi solo una parte dei lavoratori portuali, quelli impiegati nella movimentazione dei container. «La dirompenza di questo fenomeno sarà avvertita dall'economia di provincia e avrà un effetto acuto su alcune comunità locali, quelle che fanno affidamento su un settore che offre posti di lavoro ben pagati», sottolinea John ÒGrady, partner di PRISM. 

Il rapporto di PRISM si è soffermato sulla sola area del Delta di Vancouver ma può rappresentare un buon paradigma anche per altre aree portuali simili in altri posti del mondo. Non si tratta di lavoratori a basso reddito ma di impiegati della classe media e alta, in genere inseriti in una comunità a sua volta strettamente legata ad attività marittime diversificate. Si consideri che la tratta marittima commerciale pacifica è la più importante al mondo per volume di merce movimentata via mare.

La perdita di posti di lavoro quasi raddoppia nel caso in cui venga realizzato un terminal container automatizzato da zero (greenfield) rispetto all'automatizzazione di un terminal già esistente (brownfield). Nel primo caso verrebbero 'mangiati' 4,100 posti di lavoro nella provincia del Delta, 4 mila nel porto di Vancouver e 1,200 a Prince Rupert. Automatizzando un terminal tradizionale invece andrebbero in fumo 2,300 posti di lavoro a Delta, 2,200 a Vancouver e 700 a Prince Rupert. I redditi si ridurreranno e con essi i contributi versati, portando a un mancato gettito – nello scenario greenfield – per la Columbia Britannica canadese di 628 milioni di dollari, pari a 66,6 milioni di entrate federali in meno, che diventano 349 milioni di mancato gettito e 36,6 milioni di imposte federali in meno automatizzando terminal esistenti.

Sulla base di un censimento del 2016, l'occupazione in mare a Prince Ruper interessa un quarto dei lavori pagati più di 70 mila dollari l'anno (il 66 per cento di quelli con un reddito superiore a 100 mila dollari), l'11 per cento a Delta (quasi un quarto del totale con 100 mila dollari di reddito) e il 2 per cento a Vancouver (3 per cento del totale oltre i 100 mila dollari di reddito). 

Ashton ha sottolineato che il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore nel processo di automatizzazione portuale è del tutto squilibrato. Le compagnie straniere aprono uffici in Canada, automatizzano i processi industriali e la disoccupazione che ne consegue spinge il governo federale a intervenire, indebitandosi. «L'automazione non dovrebbe avvantaggiare solo le aziende, lasciando ai lavoratori e alla loro comunità il danno fatto», afferma Ashton.
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