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29 marzo 2024, Aggiornato alle 10,06
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Politiche marittime

Una spa pubblica per adeguarsi alle richieste di Bruxelles?

Per il viceministro Rixi potrebbe essere una soluzione. Ma le richieste della Commissione, così come sono, "disintegrerebbero il nostro ordinamento"

Salvini e Rixi

«La gestione pubblica dei porti può essere garantita in vari modi, con un ente pubblico non economico o con una Spa a controllo pubblico». Il governo è pronto a cambiare i connotati giuridici dei porti, ma non nei termini radicali chiesti dalla Commissione europea. «Chiedere al nostro Paese di non investire più nei propri porti, o di far pagare le tasse ad un ente pubblico non economico – spiega il viceministro ai Trasporti, Edoardo Rixi, parlando con i giornalisti a Genova nel corso del terzo seminario italo-russo - introdurrebbe un principio che potrebbe disintegrare il nostro ordinamento. Ci costringerebbe per esempio a ripensare tutto il sistema delle università, che sono anch'esse enti pubblici non economici. È un problema che va oltre i porti».

Verso metà marzo terminerà il tempo a disposizione per rispondere alle richieste dell'Ue. In caso di rifiuto, scatterà come da prassi una procedura d'infrazione per l'Italia – anche la Spagna è sotto indagine per ragioni analoghe. Rixi ha intenzione nel frattempo di confrontarsi con la Commissione «per capire quali sono i punti che lei vede incompatibili con la disciplina pubblica sulla gestione dei porti. Per noi è fondamentale capire, perché se no facciamo degli errori».

Ci vorrà tempo
Siamo a metà di una lunga trattativa che si divide in quattro fasi. La prima si è conclusa ad aprile, quando la Dg Competition ha notificato la violazione delle norme Ue sugli aiuti di stato. La seconda fase avvia la negozazione tra stato membro e Commissione, la quale propone le modifiche per conformare lo Stato membro alle norme Ue sugli aiuti di Stato. Le proposte per l'Italia e la Spagna sul regime fiscale portuale sono un esempio di proposte che la Commissione può adottare in questa seconda fase. La terza fase inizia qualora gli Stati membri non accettino le proposte della Commissione che può decidere così di avviare una nuova indagine più approfondita. Se l'indagine riconferma le istanze, la Commissione a quel punto può avviare la procedura di infrazione.

I regimi fiscali contestati dall'Ue a Italia e Spagna esistevano prima dell'entrata in vigore in questi stati membri del Trattato sull'Unione europea. In questo caso i regimi fiscali sono considerati "aiuti esistenti" e sono soggetti a una negoziazione tra stato membro e Commissione Ue. Sugli aiuti esistenti adottati in violazione delle norme Ue in materia di aiuti di Stato, i beneficiari non sono tenuti a rimborsare gli aiuti percepiti in passato.

Riassunto delle puntate precedenti 
Ad aprile dell'anno scorso la Dg Competition della Commissione europea è arrivata alla conclusione che «con l'esenzione dalle tasse alle Autorità portuali italiane, che sono coinvolte in attività economiche, l'Italia rinuncia a una parte di entrate che costituiscono risorse economiche per lo Stato. Così la misura di esenzione si configura come perdita per le casse centrali». Quindi, si «ritiene che la misura dell'esenzione distorce, o minaccia di farlo, la concorrenza e influenza negativamente i traffici merci dentro l'Unione».

Il vantaggio dei porti italiani
Le attività economiche delle Autorità di sistema portuale (Adsp), la loro facoltà di rilasciare concessioni e autorizzazioni, il loro essere in altre parole un ente pubblico-non economico le rende alla stregue di imprese, secondo la Dg Competition. Possono abbassare le tariffe più di altri porti, avvantaggiandosi: «le autorità portuali italiane godono di vantaggi che possono essere utilizzati per offrire tariffe più basse rispetto ai porti non sussidiati». Nel caso in cui dovesse passare la linea di Bruxelles e diventare così una procedura d'infrazione, alcune autorità portuali hanno calcolato che si potrebbe andare incontro, per recuperare i costi, a un aumento delle tasse portuali fino al 40 per cento.