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10 dicembre 2024, Aggiornato alle 20,43
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Logistica

Troppe tasse e scarsa capacità di spesa. La logistica dei trasporti è strozzata

Cresce la quota ferroviaria e i finanziamenti non mancano, ma l'affastellata burocrazia italiana ne blocca una parte. Il quadro di Conftrasporto-Confcommercio

(Dodo Pizza World/Flickr)

L'80 per cento delle merci in Italia viaggia su gomma, mentre attraverso il trasporto marittimo passano il 60 per cento delle nostre importazioni e il 50 per cento delle esportazioni (per quantità). Sui valori della merce trasportata dominano i valichi alpini, con una quota di oltre il 50 per cento delle importazioni e del 60 per cento delle esportazioni. Ma le limitazioni dell'Austria al Brennero procurano un danno all'Italia di 370 milioni di euro all'anno per ogni ora di ritardo nell'attraversamento. Il peso della logistica dei trasporti nell'economia italiana è stato tracciato mercoledì scorso a Roma a un convegno organizzato da Conftrasporto-Confcommercio, Le sfide per la crescita: il futuro dei trasporti e della logistica tra la svolta sostenibile e nuove tasse all'orizzonte

Nel 2021 il trasporto merci ferroviario ha superato i livelli del 2019, con una movimentazione di 52 milioni di treni per chilometro e un traffico complessivo di 24 miliardi di tonnellate a chilometro, con i traffici nazionali in crescita del 17,6 per cento sul 2019 e quelli in esportazione del 23,7 per cento.

Il potenziale c'è, le risorse anche, almeno quelle essenziali, ma la burocrazia e l'alta tassazione frenano lo sviluppo e la competitività del settore.

Sono 285 i milioni gli euro stanziati per mitigare l'aumento dei costi nell'autotrasporto, seppur congelati da un sistema burocratico che ne rende tortuoso l'accesso. Altri 330 i milioni, per esempio, non sono stati ancora assegnati al settore marittimo, su un totale di 500 milioni stanziati nel bando complementare al PNRR per adeguare le flotte agli obiettivi ecologici. Troppo stretti i vincoli per usufruirne, ragion per cui lo shipping chiede un nuovo bando con criteri più aperti. Inoltre, la legge di bilancio di fine anno scorso non ha rifinanziato il marebonus, che negli ultimi vent'anni ha contribuito allo sviluppo intermodale. Anche il trasporto ferroviario chiede la conferma del ferrobonus e di varare criteri di sostenibilità per le imprese: le variabili economiche, con l'energia da trazione alle stelle (+517% nei primi 3 mesi del 2022 sul 2020), hanno già decretato il fallimento di importanti realtà del settore.

Passando ai porti e al trasporto marittimo, dal primo gennaio è entrato in vigore il Carbon Intensity Indicator dell'IMO (International Maritime Organization), che assegna alle navi un rating per classificare le unità in base alle emissioni anidride carbonica sulle miglia percorse. Un indice con molte distorsioni che manderebbe fuori norma il 73 per cento delle navi traghetto italiane entro il 2025. Il 2023 si apre con un previsto incremento dei canoni concessori portuali (+25%), che si aggiunge al peso del caro-carburanti e agli effetti della pandemia. Nonostante la recente emanazione del regolamento atteso da 28 anni, l'onerosità delle concessioni nei nostri porti è molto variegata e i previsti incrementi lineari uniformi amplieranno gli illogici vantaggi e svantaggi tra gli operatori.

La guerra in Ucraina ha visto aumentare fino al 200 per cento i costi delle imprese terminalistiche per l'approvvigionamento energetico, senza possibilità di ristoro, e sugli operatori pesa anche il contributo obbligatorio per il funzionamento dell'Autorità di Regolazione dei Trasporti. Per la transizione green, l'Ue chiede al settore della logistica energetica investimenti considerevoli, mentre i depositi fiscali costieri, per ogni modifica di impianto verso prodotti rinnovabili o a basso contenuto di carbonio, sono soggetti a iter burocratici ancora troppo complessi. Occorre un intervento che consenta al settore di esprimere il proprio potenziale e di avvalersi dei combustibili alternativi (Gnl e biocarburanti), finché l'orizzonte del full electric non sarà più vicino.

A questo si aggiunge il carico fiscale che grava sulle imprese. L'autotrasporto, che dal 1991 al 2017 ha ridotto le emissioni del 30% (contro il -20% dell'intera economia), è assoggettato a una carbon tax 5 volte superiore a quella dei settori agricolo e industriale (250 euro per tonnellata di Co2 prodotta). Secondo le prime stime di Conftrasporto, l'estensione al trasporto stradale dell'ETS (meccanismo di contrattazione delle emissioni), con l'aumento dei prezzi dei carburanti, vedrà impennarsi i costi per le imprese: più 1,500 euro all'anno per un furgone diesel, più 6 mila euro per un tir a gas naturale liquefatto, più 10 mila per un tir a gasolio di ultima generazione. Con le accise sul gasolio, un tir Euro 6 paga 8,500 euro in più rispetto ai costi ambientali che genera.

Tra l'impennata dei costi delle opere pubbliche (crisi energetica e caro materiali) e difficoltà procedurali, la spesa effettuata dall'Italia nel 2022 sulle risorse del PNRR è stata inferiore alle attese: 15 miliardi di euro in meno rispetto a una previsione di 33,7 miliardi. Si dovrà dunque accelerare per rispettare il cronoprogramma del Pnrr. Le croniche difficoltà del nostro Paese nel mettere a terra i programmi di spesa potrebbero costarci molto caro, rischiando di vanificare le opportunità offerte dal Piano per la realizzazione delle opere essenziali alla ripresa.

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Tag: economia