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19 aprile 2024, Aggiornato alle 18,53
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Senza infrastrutture non c'è domanda di mercato. Confetra Mezzogiorno scrive a Carfagna

In un documento condiviso nel corso delle consultazioni sul PNRR, de Crescenzo fotografa il dramma economico del Meridione, e lancia la ricetta per farlo ripartire

(European Space Agency/Flickr)

a cura di Paolo Bosso

Infrastrutture, infrastrutture, infrastrutture, a cominciare dalle ferrovie. È la ricetta – avanzata in linea generale la settimana scorsa - che il coordinatore di Confetra Mezzogiorno, Domenico de Crescenzo, propone per il Meridione d'Italia in un documento inviato alla ministra per il Sud, Mara Carfagna. L'occasione è stato il confronto avviato dalla ministra nella campagna "Sud, progetti per ripartire", svoltasi il 23 e 24 marzo per raccogliere le istanze degli imprenditori e delle associazioni di categoria del Mezzogiorno in vista della consegna alla Commissione europea, entro il 30 aprile, del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNRR) che prevede per l'Italia oltre 220 miliardi.

Lo scenario economico del Sud Italia è drammatico. Gli indicatori, si legge nel documento di de Crescenzo, segnano, al netto del Covid, un calo del Pil nel Mezzogiorno del 6 per cento negli ultimi dieci anni, a fronte di una crescita nazionale del 2,4 per cento e di una media europea dell'11,7. Il tasso di disoccupazione è del 18 per cento, con i NEET (gli inattivi) al 33 per cento, contro il 22 per cento nazionale. Il costo del denaro per le aziende che risiedono nel Mezzogiorno è del 50 per cento più alto. Sempre negli ultimi dieci anni, l'emigrazione nazionale ha superato le 2 milioni di persone complessive, di cui 850 mila dal Meridione (500 mila sotto i 35 anni e 133 mila laureati).

Per de Crescenzo è la fotografia di «una vera e propria desertificazione. Non c'è più tempo per le buone intenzioni e i proclami, bisogna agire senza indugio».

La giustificazione secondo cui gli scarsi investimenti nel Sud risiedono in una debole domanda di mercato è pretestuosa. «La domanda di un trasporto ferroviario efficiente – spiega de Crescenzo – cresce quando tale trasporto esiste e viene reso disponibile, in assenza del quale i cittadini si indirizzano verso il trasporto su gomma e i mezzi privati».

Il problema principale è la carenza infrastrutturale, il freno alle politiche di sviluppo. Si deve capovolgere una logica, quella che ha portato il Gruppo Ferrovie a tagliare del 29 per cento gli investimenti al Sud, contro un 15 per cento nazionale. Ci vuole una visione di insieme generale che sostituisca la logica corporativa, «non più shopping list presentate dalle singole comunità, slegate da una visione spesso figlia del consenso elettorale», spiega de Crescenzo.

Eppure, per ogni euro investito al Sud il valore aggiunto per l'Italia è di 1,30 euro, per effetto dei consumi. «Investire al Sud non è solo un atto dovuto, è una maniera per far crescere tutto il Paese», scrive de Crescenzo a Carfagna. Le esportazioni dal Meridione sono cresciute del 52 per cento, rispetto al 45 per cento del Paese.

Le linee di intervento delinate sono tre:

Ferrovie. In una parola, alta velocità. Non solo sulla Napoli-Bari, i cui lavori procedono a rilento, ma anche da Salerno in giù. In altre parole, continuità territoriale, fino al Ponte sullo Stretto. 

Aereo. Dopo la gomma, i voli low cost (oltre il 50 per cento del totale aereo meridionale) sono stati, fino all'arrivo della pandemia, il principale asset di trasporto del Meridione, colmando la mancanza di collegamenti ferroviari efficienti e rispecchiando il turismo in costante crescita. Il problema è che la maggior parte dei voli cargo sono su Roma e Milano, cosa che aumenta i costi di trasferimento interno, oltre a un maggior impatto ambientale. «Lo stato delle infrastrutture esisteni è frequentemente indecoroso – afferma de Crescenzo – eppure la rete stradale del Sud, meno congestionata, potrebbe essere l'ideale laboratorio per testare il nuovo approccio alle smart road autostradali».

Porti. Gli scali commerciali del Sud valgono il 41 per cento dell'interscambio nazionale. Escludendo Gioia Tauro, nessuno di questi è collegato alla rete ferroviaria. La cosa importante che sottolinea de Crescenzo è la miopia di ridurre i porti alle attività turistiche, come per esempio alle crociere. «Non è la collocazione sulla carta geografica che conferisce ruoli e vocazioni agli scali marittimi, piuttosto i sistemi manifatturieri nelle rispettive catchment areas, attraverso la loro domanda di servizi logistici». Non esiste la "vocazione mediterranea" - come scritto nell'ultima versione del PNRR – dei porti del Mezzogiorno, visto che questi scali trafficano con Stati Uniti, Germania Cina e Sudest asiatico.

Anche per i porti vale il discorso generale per i trasporti: se le infrastrutture sono la risposta alla domanda di servizi, è chiaro che se le infrastrutture non ci sono la domanda non può esprimersi a dovere. Oltre alla digitalizzazione e alla riduzione degli oneri burocratici, de Crescenzo sottolinea che l'allaccio ferroviario ad alta velocità sui porti permetterebbe di rilanciare il sistema Paese, vista la strategica posizione geografica.

Per fare un esempio, incrementare gli sbarchi ferroviari su Gioia Tauro, quelli destinati al Nord, avrebbe tre effetti: la riduzione del transit time, riducendo i costi di trasporto; la riduzione dei consumi di carburante, e anche qui dei costi di trasporto; intercettazione dei flussi di trasporto che da Suez sono destinati al Nord Europa.

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