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19 aprile 2024, Aggiornato alle 18,53
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Cultura

Quando Napoli vola. Capodichino si racconta

In un libro a più voci, le origini e l'evoluzione di un aeroporto proiettato nel futuro di una città complessa


di Marco Molino 

 

Dopo cena monto in macchina e mi dirigo all'aeroporto di Capodichino per prelevare un amico in arrivo con il volo da Londra. Siamo alla metà degli anni Novanta. Parcheggio poco prima del piazzale e raggiungo a piedi il terminal arrivi, giusto in tempo per scoprire che il Gatwick-Napoli segna mezz'ora di ritardo. Non ci voleva proprio. Mi guardo intorno. Sulle panchine qualche parente in attesa che sbadiglia. Faccio due passi nella hall, poi proseguo lentamente lungo il corridoio che curva verso sinistra. Un ficus smorto, un uscio serrato, un silenzio da smobilitazione. Siedo anch'io in un angolo e presto sonnecchio. Passano 45 minuti ed ecco il mio amico con il bagaglio appena recuperato. Mentre racconta le ultime novità della City, torniamo con l'auto verso la città che vive. Sulla collina è rimasto lo scalo solitario, con le luci che si spengono una dopo l'altra. Utile ma fuori da tutto.

 

Eppure, sin da allora, non ho mai potuto considerarlo un semplice non-luogo di transito. La sua era un'estraneità familiare, con quella mediocre funzionalità che mi pareva in sintonia con la città eternamente incompiuta. Lassù sulla spianata c'era pure in controluce la storia di un antico casale, di un campo per le esercitazioni militari che ancora stava sotto l'aeroporto. Di un "luogo", appunto, che aveva piuttosto molto da raccontare e tante potenzialità inespresse che giungevano al mio orecchio come un sussurro. Solo dopo aver letto le prime righe di Quando Napoli vola (Guida Editori) sono riuscito finalmente a percepire distintamente quella voce narrante così necessaria per comprendere, come afferma l'attuale amministratore delegato dello scalo partenopeo, Armando Brunini, "cosa è stato, cosa è e cosa potrà diventare il nostro aeroporto".

 

Un itinerario di conoscenza che si snoda a tappe attraverso il punto di vista di vari autori, tra loro diversi per competenza e sensibilità, che hanno seguito nel volume il filo rosso di un territorio per secoli sostanzialmente agricolo, poi trasformato in Campo di Marte da Murat nell'Ottocento, in ippodromo e spelacchiato aerodromo per dirigibili e pionieristici biplani agli inizi del XX secolo, in aeroporto militare prima bombardato e poi utilizzato dagli stessi alleati durante la Seconda guerra mondiale.

 

Queste intense vicende avevano già lasciato la loro impronta nelle strutture incerte delle prime stagioni dei voli civili (quando pure il generale Eisenhower e Frank Sinatra atterrarono a Capodichino) e nelle linde pareti del terminal anni Sessanta forgiato sulle ambizioni architettoniche del Boom. Linee giovani ispirate a un progresso che ci avrebbe messo ancora qualche decennio per realizzarsi concretamente in quello che oggi è uno degli aeroporti più moderni e funzionali d'Europa, con un bacino di utenza in crescita esponenziale. Un luogo della città che da marginale è diventato punto di riferimento, laboratorio di innovazione e di buone prassi amministrative.

 

La porta d'ingresso di una Napoli aperta al mondo con cento rotte aeree che animano una struttura in grado di accogliere i viaggiatori giorno e notte nei suoi ristoranti tipici, nelle aree per lo shopping e nelle confortevoli sale d'attesa, con un design proiettato nel futuro e le sculture che incarnano la storia millenaria di questa metropoli ancora lacerata da tante contraddizioni, ma certamente capace di lanciare lo sguardo (e la voglia di fare) oltre le nuvole. Insomma, uno scalo che "assomiglia al luogo in cui sorge – scrive Maurizio de Giovanni nell'introduzione – portando in se qualche elemento di quello che il turista troverà all'esterno". Un aeroporto  e una città che cominciano a raccontarsi insieme e a volare non più soltanto con la fantasia.