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25 aprile 2024, Aggiornato alle 19,07
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Porti pubblici, attività  private. A Napoli l'assemblea Angopi

Il presidente Guidi, seguendo la Commissione Ue, sottolinea le criticità della single window


I porti italiani è bene che restino pubblici, non tanto per difendere gli interessi della pubblica amministrazione, quanto per garantire lavoro, ricchezza e dignità. È questo il messaggio lanciato dal convegno nazionale di Angopi, l'Associazione Nazionale Gruppo Ormeggiatori e barcaioli Porti Italiani, tenutosi venerdì a Napoli. «L'inalienabilità, l'incommerciabilità e l'inespropiabilità delle aree  demaniali portuali, con la possibilità dei privati di godere di diritti solo attraverso le concessioni, è un elemento di tutela degli interessi nazionali, garantendo che gli stessi privati possano gestire quelle aree solo svolgendo un'attività che guarda agli interessi del porto», afferma il presidente Angopi, Cesare Guidi.  «I porti – aggiunge - non devono essere un mero luogo di transito delle imprese al di fuori di ogni controllo». 

Se quindi il legislatore non deve intervenire sulla sostanza della legge 84/94 – che rimarca lo stretto legame tra ormeggio e sicurezza, «garantendo il bene comune», secondo Guidi - è sul sistema legislativo europeo che bisogna lavorare, dove, afferma Guidi, «ci sono ampi spazi per un'ulteriore semplificazione». La Commissione europea, infatti, a maggio scorso ha indicato tre criticità della normativa portuale europea, tutte legate agli aspetti amministrativi e alla sua controparte digitale: scarsa organizzazione tra le single window (SW) dei Paesi membri, «la direttiva 65/2013 non ha previsto vincoli particolari e contribuito a frammentare il settore», spiega Guidi; confusione tra le comunicazioni nazionali e locali nelle SW; infine, scarsa armonizzazione tra le SW nazionali, problema «superabile – per Guidi - con un'interfaccia comune».

È una mare davvero grande quello con cui ha a che fare la portualità italiana. Il 2,7 per cento del Pil è legato ad attività marittime dirette – «sono pari a 32,47 miliardi di euro. Se poi aggiungiamo il valore aggiunto delle industrie che esportano nei nostri porti, la quota Pil sale fino al 10 per cento», precisa il presidente Confitarma, Mario Mattioli. 485 mila chilometri  quadrati di area SAR e tutela dell'ambiente marino, come ha precisato il comandante delle Capitanerie di porto, Giovanni Pettorino, che diventano 1,1 milioni di chilometri quadrati se si aggiunge l'attività di sorveglianza della Guardia costiera, pari alla metà del Mediterraneo. Un Corpo che negli ultimi quattro anni ha effettuato in mare 4,700 soccorsi e salvato 600 mila persone.