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Italia tra il martello USA e l'incudine cinese

Via mare, il Paese esporta con gli Stati Uniti e importa con la Cina. Il sesto rapporto "italian maritime economy" di SRM Intesa San Paolo


a cura di Paolo Bosso

Se l'Italia riuscisse ad attirare un decimo di traffico in più nei suoi porti genererebbe un valore aggiunto pari a 3,2 miliardi di euro. Nel frattempo, è l'incudine tra il martello statunitense e la staffa cinese, che si fanno la guerra commerciale. È il quadro che fa il centro Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (SRM) del gruppo Intesa San Paolo, che oggi a Napoli ha presentato il sesto rapporto italian maritime economy, un osservatorio sullo stato di salute dello shipping mediterraneo nel contesto geopolitico internazionale.

L'Italia è il paese che importa dalla Cina ed esporta verso gli Stati Uniti, due paesi attualmente in conflitto commerciale attraverso i dazi. Nel 2019 i valore degli scambi commerciali via mare nel nostro paese è stato pari a 253,7 miliardi di euro, pari al 37 per cento dell'interscambio complessivo. La Cina è il nostro principale fornitore: con 22,4 miliardi rappresenta il 17 per cento dell'import via mare italiano. Gli Stati Uniti invece sono il primo paese cliente, che con 27,7 miliardi di euro concentra il 23 per cento dell'export nostrano.

Il tasso di crescita del commercio marittimo mondiale da qui ai prossimi quattro anni si dovrebbe mantenere sul 3,8 per cento (tra il 2005 e il 2017 è stato del 3,5%). L'Asia domina il flusso dei container, rappresentando due terzi del totale. Per effetto della guerra dei dazi tra Cina e Usa, però, sta cambiando il flusso transpacifico. Le esportazioni di container dalla Cina agli Stati Uniti sono calate dell'8,2 per cento nei primi tre mesi di quest'anno, un tasso che secondo le stime corrisponderà grossomodo alla contrazione annuale. 

Guardando ai prossimi decenni, l'infrastruttura capillare terrestre, fatta soprattutto di ferrovie, che la Cina sta finanziando su tutta l'Eurasia, ovvero la belt and road initiative, incrementerà il Pil mondiale del 4,2 per cento l'anno nei prossimi vent'anni, pari a 7 mila miliardi l'anno.

Sembra non fermarsi il gigantismo navale, sempre nel trasporto container. Nei prossimi tre anni verranno varate 133 navi tra i 10 mila e i 23 mila teu e 45 tra i 18 mila e i 23 mila teu. In una galassia di operatori ormai sempre più simile a un condominio: se nel 1998 i primi 4 operatori detenevano un quinto del mercato, oggi ne possiedono quasi il 60 per cento. Sempre nel 1998 i primi dieci operatori avevano il 40 per cento dei servizi, oggi l'80 per cento.

«Il Mediterraneo sta ritrovando la sua centralità nell'economia marittima e l'Italia ha ora una grande opportunità per attirare investitori», commenta Massimo Deandreis, direttore generale di SRM. «Ma occorre puntare con decisione sul binomio logistica-portualità, investendo in infrastrutture materiali, intermodalità e tecnologie. Il Mezzogiorno in questo scenario ha una grande opportunità di sviluppo in cui si inseriscono le ZES, strumento che va ora reso operativo senza indugi e con convinzione».

«Consideriamo che il 70 per cento dell'import export globale viaggia via mare e solo questo numero deve dare impressione su quanto sia importante avere un Osservatorio che monitora costantemente le dinamiche e la struttura del nostro shipping e della nostra portualità», ha concluso il presidente di SRM, Paolo Scudieri.

Tag: srm - cina - container - traffico