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16 aprile 2024, Aggiornato alle 15,53
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Politiche marittime

Il porto del futuro è una "smart port city"

In Sud Africa, la 14esima conferenza mondiale dell' Association International Villes et Ports ha messo al centro la vivibilità delle città portuali del futuro


dal nostro inviato a Durban (Sud Africa) Paolo Bosso 
 
La convivenza tra zona urbana e porto in una città portuale è un tema particolarmente sentito in nord Europa. Il motivo è principalmente legato all'intenso sviluppo dei porti di questa zona negli ultimi quarant'anni che li hanno portati ad estendersi enormemente creando non pochi problemi alla città. Problemi che si possono tradurre sinteticamente in due: logistici per il porto, esigenza di nuovi spazi per la città.
In Italia il discorso è sentito allo stesso modo ma si articola diversamente. La maggior parte degli scali italiani risiede in città antiche, alcune con storie millenarie, per cui quasi sempre l'espansione del porto deve fare i conti con un intoccabile centro storico a ridosso, con la pianificazione urbanistica incontra grossi limiti. Non che il nord Europa non abbia anch'esso vecchie città ma lì, a differenza del nostro paese, da un lato l'urbanistica è una scienza che fa programmazioni decennali, dall'altro la morfologia del territorio tende ad essere pianeggiante, due fattori determinanti che hanno attutito considerevolmente una problematica che appartiene alla città portuale in sé: come sviluppare in armonia banchine dedite al commercio e spazi pubblici dove vivere senza urtarsi a vicenda?
Le scuole di pensiero possono riassumersi in due: quella che vuole tenere porto e città separati, e quella che vuole creare una sorta di contaminazione urbana. La prima ha un approccio "industriale" che mette in primo piano gli affari, guarda gli interessi degli operatori portuali e dà per scontato che le esigenze dei cittadini debbano adeguarsi alle attività dello scalo. La seconda scuola di pensiero parte invece dalle esigenze della città, però in modo "sistemico": la città portuale deve essere vivibile e nello stesso tempo mantenere la sua industriosità portuale, per cui ignorare le esigenze logistiche e di spazio di un porto alla lunga determinerebbero un disastro economico e sociale.

La nascita dell'Association Internationale Ville et Ports
Il dibattito tra "industriali" e "sistemici" va avanti da sempre, dalla rivoluzione industriale si potrebbe dire, ma solo ultimamente si è strutturato in un confronto pubblico. L'Association Internationale Villes et Ports (AIVP), con base a Le Havre nel nord della Francia, è stata la prima a intuire la necessità di questo confronto. Dal 1989, anno della sua fondazione, tiene ogni due anni la World Conference Cities and Ports, un convegno mondiale itinerante che mette insieme architetti, operatori portuali, economisti, società private e istituzioni permettendogli di presentare i propri progetti per migliorare il business dei porti e la vivibilità delle città portuali.

La Smart Port City
Barcellona, Montreal, Buenos Aires, Stoccolma, Dakar, Dalian, Sidney, Lisbona, Genova, Montevideo, Marsiglia, Nantes e Saint-Nazaire sono state le città toccate finora dalle conferenze AIVP. L'ultima, a novembre, è stata la città sudafricana di Durban (nella foto il lungomare). Quest'anno il tema è stato la smart port city. Al di là dell'elegante neologismo, cosa significa? «La smart port city è un concetto utilizzato ultimamente in ambito urbanistico per concepire una città portuale post-industriale che faccia a meno del carbone» spiega Carlos Moreno, consigliere scientifico per la Cofely Ineo della Gdf Suez, una delle più grandi aziende energetiche francesi. «Nella megalopoli – continua - vivono in media dieci milioni di persone. Tokyo nel 2050 raggiungerà i 37 milioni. In questo contesto la vita urbana è fragile. La smart city e, nel caso di una città portuale, la smart port city crea una città vivibile prima che economicamente ricca». 

Da Durban a Helsinki, le idee per una città portuale vivibile
I progetti presentati nella tre giorni di conferenza di Durban per rendere le città portuali più vivibili sono stati tanti. Si sono susseguiti 50 speaker provenienti da 22 paesi che hanno parlato di fronte a una platea di circa 200 persone.
C'è Helsinki in Finlandia impegnata da anni in un grande progetto di espansione residenziale verso est, un esempio di "riconquista" della città sul porto: le case verranno costruite dove prima risiedeva un terminal container. Transnet National Ports Authority che gestisce gli otto scali del sistema portuale del Sud Africa (Richards Bay, Durban, East London, Ngqura, Port Elizabeth, Mossel Bay, Cape Town, Saldanha) si ispira ai taxi di Tokyo e all'informatizzazione dello scalo di Amburgo per le sue otto città portuali. Anversa, in Belgio, ha presentato la Port of Antwerp app, un'applicazione che spinge i cittadini a conoscere le attività del suo enorme porto (13mila ettari) con quiz a risposta multipla. Rotterdam ha presentato 4OLD, il primo container pieghevole che dovrebbe attutire il "trasporto dell'aria", il fenomeno del trasporto di container vuoti, ben il 60% di quelli che girano per il pianeta. Il sistema fluviale di Ghent-Bruxelles vuole riciclare quasi tutti i rifiuti del porto. Port Elizabeth vuole rilanciare la pesca, messa in ginocchio da pirateria e scarsità di risorse, pianificando al 2030 un mercato in loco che va dalla pesca alla lavorazione finale. I porti di Mauritius hanno dieci progetti di waterfront. Durban deve rinnovare l'arteria stradale da 600 chilometri che la collega a Johannesburg. Lo scalo statunitense di San Diego ha un programma al 2020 per ridurre le emissioni del porto del 10%, quasi della metà nel 2060 attraverso il cold ironing, l'energia solare e l'eolica. Rotterdam vuole alimentare un quartiere residenziale riutilizzando le emissioni dell'industria pesante. 

Città portuali, Italia poco presente
E l'Italia? Alla conferenza di Durban c'erano solo Genova e Livorno, poca cosa se si pensa che il paese è una penisola con ventiquattro porti gestiti da un'autorità portuale, e il motivo risiede nella scarsa considerazione urbanistica delle città portuali detta all'inizio: le città portuali in Italia non sono città portuali ma città con affianco un porto. 
Francesco Oddone, assessore allo Sviluppo del comune di Genova, ha presentato la Genoa Smart City Association (GSCA). Nata nel 2010, cerca di lavorare ai problemi che affliggono una città con 595mila persone che vivono in 243 chilometri quadrati a ridosso del porto. Il porto è uno dei più attivi d'Italia: 15 km di estensione con un consumo energetico che supera i 30 milioni di kWh l'anno. «Così nel 2010 abbiamo creato la Genoa Smart City Association che ha sviluppato un piano energetico ambientale portuale che punta su eolico su diga, fotovoltaico e soprattutto cold ironing» spiega Oddone. «Si pensa che una smart city si traduca in una serie di gadget tecnologici – continua Oddone - ma in realtà è prima di tutto uno studio dell'impatto economico sulla vita delle persone». GSCA conta cento membri tra associazioni, privati, istituti di ricerca e società civile. Ha firmato diversi MoU e ottenuto contributi europei da milioni di euro. Collabora con i porti di Copenaghen, Amburgo, Vienna e Lione.

Che cos'è una Smart Port City
Il tema di questa 14esima conferenza AIVP è stata la smart port city. Ma è possibile darne una definizione chiara e precisa? «Dal punto di vista pratico e politico sarebbe l'interscambio occupazionale tra comunità portuale e cittadina: un membro dell'authority che periodicamente va a lavorare in città, e viceversa» secondo Nicolas Mat, ricercatore Ecole Des Mines d'Ales. «Dal punto di vista ambientale - continua – è una profonda transizione energetica che coinvolge le abitudini delle persone, una delle cose più difficili da realizzare». «Se guardiamo alle forme di produzione dell'energia – spiega Jan Schreuder, chief energy officer del porto olandese di Zaanstad - notiamo che quella tradizionale, altamente inquinante, è stabile, non avendo particolari problemi di distribuzione e black-out; quella rinnovabile è invece altamente instabile, si pensi a quella solare o eolica che cala drasticamente quando vengono a mancare luce e vento. Come risolvere questo impasse che rende impossibile la transizione energetica da una società industriale dipendente dal carbone e dal petrolio a una post-industriale che possa farne a meno?» si chiede Schreuder. «La chiave – risponde - è nella flessibilità del consumatore. Se i consumatori venissero coinvolti a partecipare alla produzione di energia, vi garantisco che la loro flessibilità darà la maggior stabilità possibile all'erogazione delle energie rinnovabili». 
«Bisogna tenere conto che l'ecologia industriale sarà incredibilmente complessa» conclude il ricercatore francese Nicolas Mat. «Una città portuale intelligente è quella che attua una transizione energetica coinvolgendo le abitudini delle persone, una delle cose più difficili da fare. Il porto del futuro dovrà essere performante soltanto nei termini della miglior gestione possibile delle risorse».