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29 aprile 2024, Aggiornato alle 08,20
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Il Global Competitiveness Report, spiegato

L'Italia sale di parecchio nel ranking mondiale della competitività stilato dal World Economic Forum: dall'82esimo posto del 2011 al 53esimo del 2012. I porti risalgono 22 posizioni. Perché questa volatilità?


di Paolo Bosso 
 
E' stato spietato l'anno scorso, un po' più buono quest'anno. Stiamo parlando del World Economic Forum fondato da Klaus Schwab (nella foto) e del suo annuale Global Competitiveness Report, una classifica economica che include 148 paesi (l'anno scorso erano 144), praticamente quasi tutti quelli del globo.
La buona notizia è che, secondo il WEF, l'Italia sale la classifica della competitività sul piano delle infrastrutture stradali, ferroviarie e portuali. Nell'indice generale (sempre infrastrutturale), aggiornato al 2012, il nostro paese sale di ben 29 posizioni rispetto al report precedente, passando dal 82esimo al 53esimo posto. Una risalita che può sembrare eccessiva, "volatile", quindi poco attendibile, ma in realtà basta capire come funziona il sistema di ranking per comprendere che questa oscillazione è una conseguenza dello stesso metodo di raccolta ed elaborazione dei dati.
Qualità delle infrastrutture portuali. L'Italia passa dall'89esimo posto del 2011 al 67esimo, e da un rank di 3.9 (su 7) a 4.3. Al primo posto la fanno da padrone Olanda, Singapore e Hong Kong, seguiti da Finlandia (al numero 5), Belgio (7), Germania (9), Spagna (12), Danimarca (14), Regno Unito (15), Stati Uniti (16), Francia (25), Portogallo (34), Marocco (41), Grecia (57) e Cina (59). 
Qualità generale delle infrastrutture. Siamo al 53esimo posto con un rank di 4.8, rispetto all'82esimo del 2011 (rank 3.9), con una classifica grossomodo simile a quella dei porti. Sul podio ci sono Svizzera, Hong Kong e Finlandia.
Qualità delle infrastrutture stradali. Qui guadagniamo solo due posizioni, passando dal 57esimo al 55esimo posto.
Qualità delle infrastrutture ferroviarie. E' l'ambito nel quale andiamo meglio rispetto a porti e strade. Siamo 29esimi, dietro Francia (quarta), Spagna (5), Finlandia (6), Germania (7), Olanda (11), Regno Unito (14), Stati Uniti (17), Cina (20) e Svezia (23). Sul podio figurano Giappone, Svizzera e Hong Kong.
La guida dietro il Global Competitiveness Report è Xavier Sala-i-Martín, economista della Columbia University, che coordina una squadra di dodici accademici tra professori, analisti, economisti e burocrati. Questi, a loro volta, capitalizzano i dati di 160 istituti economici - uno per ogni paese monitorato (per l'Italia è presente la Bocconi) più diversi istituti di ricerca internazionali simili al WEF – per calcolare, sulla base di algoritmici matematici, il punteggio finale di singole voci che vanno dall'educazione scolastica fino alla pressione fiscale. 
Per quanto riguarda le infrastrutture, il documento tiene conto dei seguenti fattori: la riduzione della distanza tra le regioni, le interazioni tra mercato nazionale e quello dei paesi vicini. L'ampiezza delle infrastrutture e quanto incidono di fatto sulla crescita economica e sulla disparità del reddito. Quanto pesa in un paese ogni singolo comparto tra strade, ferrovie, porti, e trasporti urbani. Quanto gli imprenditori riescono ad ottenere questi servizi in modo tempestivo. Quanto è sviluppata la rete elettrica. Infine, la qualità della rete di telecomunicazioni.
Insomma, i parametri sono tanti, e non bisogna dimenticare che sono a loro volta giudicati sulla base di altre analisi provenienti da 160 istituti diversi. I dati sono quindi fortemente soggetti ad un lavoro di "interpretazione" (nel nostro caso quella della Bocconi), a loro volta interpretati dagli analisti del WEF, checché ne dicano le precise e complesse formule matematiche che ci sono dietro. Siamo in ogni caso di fronte ad un indice importante per la quantità di dati analizzati, ma soprattutto per l'enorme numero di istituti coinvolti. E ora passiamo ai dati che ci interessano, quelli relativi alle infrastrutture italiane. 
Tenuto conto di questi parametri, non sorprende quindi che l'Italia si trovi così in basso. Dovremmo soddisfare pienamente troppi criteri per un paese come il nostro, basti pensare soltanto alla viabilità interna e alla distribuzione logistica con i paesi confinanti su cui l'Italia ha sempre sofferto. Per le stesse ragioni, non sorprende che il gigante cinese sia così in basso se si tiene conto che, rispetto alla superficie del paese, ha un traffico marittimo basato su un pugno di porti, esporta tantissimo, e tutta sua "potenza" è puntata verso i traffici d'oltreoceano e molto poco verso quelli delle nazioni vicine.