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28 marzo 2024, Aggiornato alle 16,33
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Logistica

Fase 2, troppo Stato nelle imprese private. La denuncia di Laghezza

L'imprenditore cita gli esempi di Alitalia, Tirrenia e compagnie portuali, "da decenni vere e proprie idrovore di denaro pubblico"

Alessandro Laghezza

Troppo Stato anche nel decreto per la fase 2: soldi ad Alitalia, Tirrenia e compagnie portuali. È la denuncia di Alessandro Laghezza che paventa "il disastro" della partecipazione pubblica nelle imprese private. "Il nostro - spiega l'imprenditore ligure – è un Paese che perde facilmente la memoria. Ma oggi questo lusso non se lo puó permettere nessuno, in primis chi è chiamato a tracciare una rotta per la ripresa e il rilancio del Paese. E con loro tutti gli operatori economici che dovranno "vigilare" su queste scelte e sulle decisioni di una politica che dimentica o fa finta di aver dimenticato troppo facilmente. Lo ha certo dimenticato il governo che nel decreto ignora le reali esigenze e il ruolo del comparto logistico e rifinanzia i rottami di Stato, ovvero Alitalia e Tirrenia, con una "mancia" anche per le compagnie portuali, da decenni vere e proprie idrovore di denaro pubblico".

"Ma il tema – aggiunge Laghezza – è drammaticamente più generale. Oggi il dibattito sul salvataggio delle imprese, annientate dalle misure imposte dallo Stato per combattere il Covid-19, sembra essersi polarizzato su una parola: statalizzazione nelle sue diverse accezioni e interpretazioni. Dalla partecipazione significativa dello Stato al capitale delle aziende in crisi, a una golden share apparentemente ideata per impedire a grandi investitori esteri di colonizzare il nostro Paese, sino alle partecipazioni statali in cui convertire aiuti e finanziamenti per combattere l'emergenza. A mio parere è il momento che il mondo imprenditoriale faccia fronte comune e dica apertamente e senza cedimenti: NO".

Se molte aziende oggi sono alla canna del gas – sottolinea Laghezza -, con fatturati in crollo e crisi di liquidità, non è nella stragrande maggioranza dei casi per colpa o demerito loro. Il Covid-19 certamente è stato l'elemento scatenante, ma il modo in cui in Italia si è scelto di affrontare l'emergenza, mettendo in lockdown quasi totale il sistema produttivo e paralizzando le libertà civili, ha certamente aggravato il conto per le imprese, anche rispetto ad altri Paesi europei che si sono dimostrati più efficienti sia nella gestione sanitaria che nel preservare l'integrità del proprio sistema economico. Imprese italiane certo fragili, ma soprattutto perché schiacciate da una burocrazia opprimente e drenate da una fiscalità invasiva, che non ne hanno certo favorito la crescita e la capitalizzazione". 

"Quindi, quando si parla di necessario intervento dello Stato per sostenere le aziende italiane – chiarisce Laghezza – non si parla di donazioni o di benigne concessioni (come ormai sembra essere diventato un luogo comune anche nelle dichiarazioni del presidente del Consiglio) o di un atto di amore delle banche, si tratta di un dovere preciso dello Stato che è il maggiore responsabile della crisi del tessuto economico del Paese. E passiamo alla soluzione proposta, che è peggiore del virus: lo statalismo. Per ora mi limiterò a ricordare nomi e alcune curiosità nella storia del settore dei trasporti e della logistica nel quale la mia azienda opera. Si tratta di un elenco di fallimenti, di buchi di bilancio, di danni permanenti generati nel sistema economico nazionale. Vogliamo ricordare il tanto compianto IRI e i danni che ha provocato (sino a privatizzazioni gestite a favore di pochi) nel settore armatoriale. Ci siamo dimenticati i deficit costanti di Italia Navigazione o Lloyd Triestino, compagnie della Finmare che perdevano valanghe di soldi e attuavano con i soldi altrui concorrenza sleale rispetto a operatori privati, che attraverso le tasse, le mantenevano?"

"Ci siamo dimenticati della Tirrenia – incalza l'imprenditore – e delle compagnie che gestivano nell'IRI i collegamenti con le isole minori, pseudo privatizzate in un quadro di concessioni e convenzioni sul quale sarà prima o poi il caso di fare luce? E abbiamo dimenticato anche il buco nero di Viamare (ideata per gestire le autostrade del mare)? Ci siamo dimenticati di cosa erano i porti prima della riforma 84 del 1994 che ha reso possibile l'affidamento in concessione a privati dei terminal portuali, sottraendo allo Stato la gestione diretta dei moli e consentendo la nascita di imprese terminalistiche efficienti al posto di cattedrali nel deserto costruite dal pubblico, come Gioia Tauro e Voltri? Ci siamo dimenticati delle Compagnie portuali a cui lo Stato ha per decenni ripianato i bilanci per poi renderle oggetto di un massiccio prepensionamento pagato dai contribuenti? O della burocrazia che tuttora opprime le Autorità di Sistema Portuale, che non riescono nemmeno a spendere tutti i proventi delle concessioni e delle tasse applicate a merci e navi? Ci siamo dimenticati di Alitalia, che torniamo a nazionalizzare con una spesa di 3 miliardi, dopo aver pompato nelle sue casse 6.4 miliardi in dieci anni, e in parallelo di Swissair che a 24 ore dalla presentazione di un bilancio in rosso è stata liquidata dal governo svizzero, trovando forme di compensazione per i lavoratori e di efficientamento dei servizi aerei da e per la Svizzera? Ci siamo dimenticati degli aeroporti in mano allo Stato, dei pasticci nelle concessioni, degli interporti in mano al pubblico, dei retroporti finanziati per diventare spesso cattedrali nel deserto, della piattaforma logistica nazionale mai decollata? Senza parlare dei vari operatori logistici pubblici, che finché sono stati in mano allo Stato hanno generato solo buchi: per citare due soli nomi Italcontainer e Cemat".