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14 marzo 2025, Aggiornato alle 18,16
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Armatori

Il fattore private equity

Al Mare Forum Italy la domanda è sempre la stessa: quo vadis ? La fiducia nelle banche non è più come prima, così spunta l'ipotesi su fondi di investimento un po' lontani però dalle abitudini armatoriali


di Paolo Bosso 
 
Mare Forum Italy, l'evento annuale voluto da Giuseppe Bottiglieri che mette insieme armatori e investitori, approda alla sua decima edizione. Nonostante le ottimistiche metafore quali "Rinascimento" e concetto greco di "crisi" ("cambiamento"), il mondo dello shipping che emerge da questo incontro è sostanzialmente in stallo, come il mercato, anche se, a differenza di quest'ultimo, lo è in una condizione particolare. E' in stallo ma sicuramente non fermo, giammai in flessione. Costruzioni e demolizioni proseguono a ritmi martellanti. Nuove navi che saranno però ecoship, dovendo emettere entro il 2015 (regole Imo, quindi mondiali) bassissime quantità di zolfo in determinate regioni. Quelle già in navigazione, poi, dovranno adeguarsi con discreti costi per i proprietari, anche se, come ci tiene a precisare spesso il presidente Confitarma Emanuele Grimaldi, «il ritorno degli investimenti in questo caso avviene in un anno».
 
Private equity 
Sono stati questi gli argomenti principali trattati al Mare Forum Italy 2014. Niente di più di quello di cui già si discute da anni, verrebbe da dire. Non proprio. Private equity è stata la parola che è circolata di più. Anzi, è stata la vera protagonista di questo evento. Possiamo fidarci, si chiedono gli armatori, con quei tre, cinque anni di investimento che rappresentano un battito di ciglia rispetto alle prospettive decennali a cui sono abituate le famiglie armatoriali? Già, seconda domanda, la tradizionale gestione familiare delle compagnie di navigazione è adatta in questo scenario fatto di profitti a breve scadenza? La conduzione familiare rappresenta, come ha sottolineato Bottiglieri, il 90% delle società di navigazione italiane. Questo significa che i fondi di private equity dovrebbero rapportarsi a società che pianificano gli investimenti con prospettive molto lunghe.
«Le banche stanno cambiando – spiega Giuseppe Rizzo, amministratore delegato della RBD Armatori – se si aprono le porte ai fondi di investimento, soprattutto stranieri, le cose cambieranno ancora, e non si sa in che direzione. La finanza va vista come un servizio e il private equity snatura la forma tradizionale di investimento. Se si specula e si entra nell'architettura finanziaria, per noi sarebbe un disastro». Nonostante lo scetticismo, però, la scelta del private equity non sarebbe poi così pericolosa. «Anche i fondi privati stanno cambiando – afferma Bottiglieri – interagendo con noi stanno cominciando a convincersi che devono allungare i tempi di investimento».
 
Ecoship 
Sul fronte delle ecoship, anche qui regna l'incertezza, ma la cosa certa è che sia una strada più che obbligata, addirittura naturale. «Rischiamo però di avere due mercati: quello delle navi ecologiche e quello delle navi non ecologiche» afferma Rizzo.
 
L'Italia e la governance portuale 
E per quanto riguarda l'Italia? Qui i problemi sono strutturali, o meglio politici. «C'è una patologia della politica – afferma senza mezzi termini Umberto Masucci, vicepresidente della Federazione del Mare – abbiamo nove autorità portuali commissariate su ventiquattro. Per un mondo, quello portuale, che esporta e importa per l'80% al di fuori dell'Ue è una situazione insostenibile». Senza una governance normale, secondo Masucci, è difficile fare progetti, investire, finanche far entrare i fondi di private equity. «In un contesto così è difficile convincere le persone a investire nei porti – conclude Masucci – e diventa comprensibile capire anche perché il private equity sia diffidente». Quo vadis, la domanda che fa da sottotitolo al Mare Forum Italy fin da quando è nato, per il momento resta senza risposta.