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01 maggio 2024, Aggiornato alle 20,50
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I mister(i) del mare

Si chiude il convegno del PD La forza del mare . Assoporti e Confitarma chiedono coesione politica. E in campagna elettorale se ne torna a parlare. Pour parler  


di Paolo Bosso 
 
Nel botta e risposta della campagna elettorale, tra annunci roboanti e promesse, il mare ritorna per un po' tra i punti su cui i candidati cercano di ottenere consenso. Il primo a farlo è stato Mario Monti che ha girato l'Italia dei porti tra Genova, Civitavecchia e Salerno. Ora è il turno del Partito Democratico che poco fa ha chiuso il convegno di Roma La forza del mare al quale hanno partecipato diversi attori del cluster marittimo, tra i quali i presidenti di Assoporti (Luigi Merlo) Confitarma (Paolo d'Amico) e Propeller Club di Napoli (Umberto Masucci).
Se Monti si mostra vicino alla portualità visitando gli scali di Civitavecchia e Salerno, il PD rilancia con la promessa di un "mister del mare": non un ministero del mare – come esisteva una volta - né un'ennesima agenzia/osservatorio/poltrona, bensì più concretamente un sottosegretariato o addirittura un viceministro specializzato sulla politica portuale. Una mossa furba che non si attira le critiche di un più roboante e molto più complicato (per competenze e fattibilità) ministero del mare.
Il problema, come dicono da anni assoportuali e federarmatori, è sempre lo stesso, e l'ha ben sintetizzato Merlo nel suo intervento al convegno: i porti italiani son tanti solisti senza un direttore d'orchestra. La famosa mancanza della "cabina di regia" su cui tanto si è speso in parole e poco in fatti. E' il punto focale, il fulcro, il bandolo della matassa e il nervo scoperto dell'Italia dei porti, appendice marittima del Vecchio Continente quasi sempre infiammata.
L'indizio della mancanza di una politica portuale è sotto i nostri occhi, e la causa non risiede nelle Autorità portuali (finché restano un giano bifronte pubblico-privato poco possono fare) ma nel Parlamento. Gli effetti di questo vuoto si ripercuotono negli enormi investimenti che stanno impegnando i principali scali della penisola tra nuovi terminal (container e petroli) e nuove banchine per i crocieristi. Il primo a sottolinearlo efficacemente è stato Nereo Paolo Marcucci, ex Contship Italia. Se Genova, Trieste, Livorno, Civitavecchia, Napoli, Salerno e Gioia Tauro, ha detto qualche mese fa, realizzassero tutti i progetti in cantiere (molti già finanziati), tra quindici anni totalizzeranno una capacità di 57 milioni di teu. E che te ne fai dei porti del Nord Europa? Tutto. Il traffico continuerà sempre ad andare lì visto che la merce non deve solo sbarcare ma anche spacchettarsi nel territorio. Perciò: va bene porti mostruosi, ma che lo siano allo stesso modo le autostrade e i binari altrimenti ci ritroveremmo solo con tanti colli di bottiglia sparsi per le Alpi, e non ci resterebbe che aprire un'enoteca a quel punto. Quindi, di nuovo, i porti fanno quello che possono, ma il resto deve farlo il Parlamento con le infrastrutture stradali.
Sergio Bologna, uno dei pochi "ricercatori di logistica" italiani, sintetizza così la necessità di una logistica italiana unitaria che vada oltre i porti: «Come fa [la merce] a concentrarsi in Italia, dove abbiamo sei porti di media grandezza nell'Adriatico e otto nel Tirreno più quelli delle due grandi isole? Dispersione degli investimenti, dispersione della merce, mercati di origine/destinazione che non superano le Alpi (tranne il porto di Trieste). L'Olanda serve l'Europa intera con due porti, Rotterdam e Amsterdam, il Belgio con due, Anversa e Zeebrügge, la Germania con due, Amburgo e Bremerhaven (ne hanno appena fatto un terzo e già si sono pentiti, mentre c'erano 300 comitati che si opponevano al dragaggio dell'Elba in prossimità di Amburgo)».
Un ministero, un mister, un coach dedicato solo al mare. Basta che abbia una funzione precisa: quella di un organismo di controllo diretto sugli investimenti, sulle priorità, e soprattutto che sia il più super partes possibile (notare il "più possibile"). È l'unico modo per trasformare il paese con più costa al mondo in qualcosa che non sia la dispersione di 23 porti sulla carta tutti uguali, ma che di fatto non lo sono. Sarebbe un organismo con un compito scomodo: quello di decidere chi deve movimentare container, chi crociere, chi trasbordo. E da un lato non sarebbe così difficile perché i porti che movimentano container e passeggeri già ci sono, e si contano sulle dita di una mano. Scontenterà molti, metterà Genova contro Gioia Tauro, Napoli contro Civitavecchia, Trieste contro Venezia, ma almeno permetterà di stuzzicare l'interesse di chi dei porti gli importa poco, piuttosto gli interessa affidare le sue navi e la sua merce a una catena logistica completa, dal distributore al negozio. Il nodo è davvero tutto qui. Niente di trascendentale. Che se ne parli è importante. Ma se n'è parlato davvero per troppo tempo. E che se ne parli solo in campagna elettorale è la massima espressione del pour parler.
 
aggiornamento H17.10: l'intervento di Umberto Masucci: «Come rappresentanti degli armatori stranieri nei portivediamo con favore l'istituzione dello sportello unico portuale sostenuto dal Pd. Uno dei temi per noi strategico è la governance dei porti: dobbiamo avere il coraggio di innovare per consentire ai nostri scali di competere meglio. Penso che, affianco ad un presidente "politico" con poteri di indirizzo, le Autorità portuali abbiano bisogno di un amministratore delegato o un direttore generale con competenze aziendali, così come accade in tutt'Europa. A cascata vi sono poi i temi della semplificazione, rapidità dei controlli e digitalizzazione, anch'essi fondamentali per rendere competitivi, e quindi attraenti, i nostri scali per gli armatori internazionali».