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18 marzo 2024, Aggiornato alle 16,46
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Federagenti: "Troppe guerre pesano sugli interscambi marittimi"

Porti come Odessa, Chornomorsk, Bab-El-Mandeb, Ashdod, Kherson; il canale di Suez, gli stretti di Taiwan, del Bosforo e dei Dardanelli. Negli ultimi anni le aree a rischio si sono moltiplicate

Il ponte di Yavuz Sultan Selim, sullo Stretto del Bosforo (Andrew/Flickr)

Le aree di rischio per via delle guerre stanno aumentando, essendo passate dalle 49 classificate dall' International Underwriting Association a 61. Porti come Odessa, Chornomorsk, Bab-El-Mandeb, Ashdod, lo Stretto di Taiwan, Kherson, gli stretti di Bosforo e Dardanelli, il canale di Suez. Luoghi strategici per il flusso del trasporto marittimo commerciale, oggi diventanti punti nevralgici di rallentamento. «Punte dell'iceberg di conflitti e di guerre sempre meno locali e sempre più globali, che stanno impattando su nodi strategici del commercio mondiale dal Mediterraneo all'Africa Occidentale e Orientale, dal Mar Nero al Mare della Cina, dal Centro America al Sud Est asiatico, alla Corea mondo», afferma Alessandro Santi in una nota, presidente di Federagenti.

Apparentemente, possono sembrare luoghi lontani, ma le difficoltà che vivono, in un mondo economicamente globale, si ripercuotono ovunque. «Non parliamo solo di aree lontane come Taiwan o lo Yemen», continua Santi. «Lo stretto di Sicilia come pure il Mediterraneo Sud Orientale, ovvero Libia, Cipro e Turchia, sono e diventeranno sempre più aree di tensione che provocheranno strozzature logistiche oltre a provocare in parallelo un incremento esponenziale dei flussi migratori prevedibili dal Nord Africa verso la nostra penisola, creando le premesse per situazioni fuori controllo».

In queste aree le scelte geopolitiche «hanno preso il sopravvento sulle scelte economiche - secondo Santi - perché il controllo sui flussi di merci e persone con effetti già presenti e potenzialmente devastanti per l'economia e la vita delle popolazioni mondiali è diventato un fattore strategico. E gli effetti si misurano nella scarsità dei prodotti fondamentali per la sopravvivenza delle persone e delle aziende come pure nella spinta inflattiva che arreca conseguentemente i suoi danni con l'aumento dei costi di qualsiasi bene e servizio». 

La gravità della situazione è misurabile nel cargo watchlist della International Underwriting Association, che all'inizio del 2019 presentava 49 aree di rischio, di cui 15 nella fascia da alta ad estrema, mentre oggi le aree a rischio sono 61, il 25 per cento in più, e quelle nella fascia alta di conflitti in campo aperto sono balzate a 21, il 40 per cento in più. 

Secondo Santi, «non analizzare e non comprendere che queste tensioni si tradurranno in problemi seri per i trasporti marittimi ma anche nella minaccia di fratture nelle catene di approvvigionamento e, in maniera più ampia, nel minare il concetto di democrazie liberali è sintomo di una ‘strategia dello struzzo', che metterà a repentaglio economia ed equilibri sociali nei paesi Occidentali.

In conclusione, Santi si rivolge a chi dopo il 25 settembre «governerà questo Paese e in ritardo rispetto alla comprensione dei rischi che ci riguardano direttamente: i nostri porti e i nostri spazi marittimi devono diventare snodi efficienti e non colli di bottiglia, devono essere innervati nelle reti Ten-T e nelle catene di valore che si genereranno a fronte di scelte di politica internazionale, devono rispondere alle esigenze di un piano strategico nazionale su energia, materie prime essenziali e transizione ecologica che va pensato e costruito come primario obiettivo del nuovo governo».

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