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02 novembre 2024, Aggiornato alle 18,30
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Infrastrutture

Dopo la riforma, cosa sono le Autorità portuali

La legge  approvata al Senato fa un passo verso la sburocratizzazione, ma non è abbastanza. Resta indefinita la natura di un ente diviso tra pubblico e privato


di Paolo Bosso 
 
Il punto debole della riforma dei porti italiani passata ieri al Senato resta l'Autorità portuale. Fermo restando che gli interventi del governo hanno fatto un passo avanti verso la sburocratizzazione, per esempio introducendo il silenzio-assenzo sull'approvazione dei piani regolatori portuali, questo ente pubblico non economico è ancora lontano dall'avere una definizione forte capace di renderlo competitivo. La 84/94 è una legge importante, quella che ha istituito un'Authority moderna di livello europeo, ma la sua natura resta incerta, divisa tra un ruolo giuridico a metà tra il privato e il pubblico e che, a seconda dei casi e dei vantaggi, oscilla per l'uno o per l'altro. 

L'Autorità portuale è un ente pubblico non economico dove il rapporto di lavoro dei dipendenti (art. 10 comma 6 della legge 84/94) è disciplinato da un contratto di diritto privato. Una definizione che da un lato riconosce la natura non commerciale del porto, istituendola come ente pubblico, dall'altro la struttura al suo interno come un organismo privato.

Ma la definizione resta ambigua. Per esempio, nel caso delle misure della Finanziaria, l'Autorità portuale vi rientra oppure no? Dipende, e la storia degli ultimi anni è alquanto contorta. 
Partiamo dalla fine. Il 12 luglio il Tar del Lazio non ha accolto il ricorso dell'Autorità portuale di Napoli contro il blocco delle dinamiche contributive dei dipendenti pubblici imposta dalla legge 122/2010 che equipara i dipendenti dell'ente portuale a quelli pubblici includendoli così nelle misure di contenimento delle spese statali. L'appello al Tar era fondato sul fatto che tutti i dipendenti delle authorities italiane, pari a 1.200 persone, sono sottoposti a contratti di diritto privato. La storia è vecchia, risale al 1994, e fino alla sentenza del Tar è sempre andata a favore dei dipendenti delle autorità portuali escludendoli dai tagli alla spesa.

E ora partiamo dall'inizio, dal lontano 1994, anno della legge 84, quella del "Riordino della legislazione in materia portuale". La norma istituisce l'Autorità portuale, un ente pubblico che, come abbiamo detto, disciplina i contratti dei dipendenti (art. 10 comma 6) sul diritto privato, in modo analogo al Corpo Forestale dello Stato e ad alcuni comparti della sanità. Il motivo di questo giano bifronte è stato giustificato con una sola parola: efficacia. L'Autorità portuale non può essere un semplice organismo burocratico di gestione, come nel caso di amministrazioni pubbliche pure, poiché si occupa dell'organizzazione di un porto che lavora ventiquattrore al giorno, un luogo nel quale si svolge un'attività commerciale sensibile e strategica che l'ente portuale coordina e controlla senza scopo di lucro (esso è infatti definito come un organismo di tipo economico ma non commerciale).

Ovvio che un'Autorità portuale così definita cambia a seconda se la si guarda come ente (pubblico) o come sistema di retribuzione (privato). Ogni volta che ha potuto, il Tesoro ha sempre tirato per il collo l'Autorità portuale equiparando i suoi dipendenti a quelli di un ente pubblico puro includendoli nei tagli alla spesa, in particolare nel blocco delle assunzioni e nell'aumento degli stipendi. E' una vecchia lotta tra il ministero dell'Economia e quello dei Trasporti. Il primo ha sempre voluto inserire gli enti porto nella categoria dei pubblici sulla base del decreto legislativo 165/2001 che stabilisce le "Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche". Il ministero dei Trasporti ha invece sempre cercato, e ottenuto, la sua "esenzione" appellandosi a due norme: la 84/94 e il decreto ministeriale del 7 ottobre 1996 che ribadisce i contenuti della 84/94: i dipendenti delle Autorità portuali sono sottoposti a contratti dove vige il diritto privato.

Il principio è lineare. Qualunque taglio alla spesa incluso nelle finanziarie non può interessare le autorità portuali perché, pur trattandosi di un ente pubblico, stipendia i dipendenti con contratti di diritto privato. Su questo l'ha sempre avuta vinta i Trasporti, nonostante il parere contrario del Tesoro, forte di una circolare della Funzione Pubblica che ha fatto scuola, quella del 21 marzo 2003 (prot. 895) che non applicava il blocco delle assunzioni alle autorità portuali.  

Tutto cambia nel 2009 con l'arrivo della "Legge di contabilità e finanza pubblica" n. 196 sulla base della quale l'Istat stila un elenco con nomi e cognomi degli enti pubblici destinatari delle norme. Tra questi c'è l'Autorità portuale. Il ministero dell'Economia applica così alle 24 authorities italiane la Finanziaria 2010 bloccando l'aumento degli stipendi fino al 2014.

Eccoci arrivati ai giorni nostri, quelli della sentenza del Tar. L'Autorità portuale di Napoli si appella al Tribunale Regionale del Lazio affinché sia tenuta fuori dalla Finanziaria 2010 e dal blocco delle dinamiche contributive dei dipendenti pubblici imposta dalla legge 122/2010, forte dell'appoggio del dicastero dei Trasporti, della legge 84/94 e del decreto 165/2001. Il 12 luglio però il Tar risponde picche. Non entra nel merito delle "beghe" tra Tesoro e Trasporti e si limita, come da prassi per un organo del genere, a seguire la legge, non la 84/94, né la 165/2001, ma l'ultima, la 196/2009, quella con l'elenco Istat: l'Autorità portuale rientra nei tagli alla spesa pubblica. L'Authority di Napoli annuncia battaglia, non si arrenderà e si dice pronta ad andare al Consiglio di Stato. 

Attualmente la questione è in una fase di stallo. A seconda di come la si veda, se dal punto di vista dei dipendenti (privati) o del datore di lavoro (pubblico), l'Autorità portuale può essere vista insieme come ente privato e pubblico. Un esempio su tutti può aiutare a comprendere lo stato di caos fatto di vuoti interpretativi e lotte ministeriali interne. La riforma 2007 del TFR stabiliva la possibilità per il lavoratore privato di affidare ad un ente terzo che non sia l'azienda per cui lavora la gestione della propria liquidazione. Visti i precedenti della Finanziaria 2010, logica vuole che anche i dipendenti delle autorità portuali non vi rientrino perché sono enti pubblici. Invece si, perché sono dipendenti con contratti privati! A dirlo è una nota ministeriale interpretativa della riforma del TFR datata 18 febbraio 2007.

La questione è contorta e contraddittoria. La riforma dei porti varata ieri sarebbe stata una buona occasione per risolverla. In ballo c'è da un lato il compenso di 1.200 persone che rischiano di vedersi fortemente ridimensionato lo stipendio, dall'altro la natura legislativa dell'Autorità portuale. Forse c'è bisogno di una norma che chiarisca una volta per tutte cosa sia questo ente, aggiornando la 84/94. Oppure una linea interpretativa definitiva che elimini il gioco di due pesi e due misure fatto di interessi personali, anzi privati.